Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 12 dicembre 2011

25

Con lo sprovveduto tappo di una penna bic malcapitato sul bancone, Tommaso giocava con la sua barba proprio come può fare un cane quando si gratta. E lo faceva peggio, perché un animale lo fa in una maniera del tutto spontanea: Tommaso si raschiava la guancia con un mordente e con una concentrazione incomparabile, innaturale, proprio mentre ascoltava il gruppo che non conosceva ma che erano bravi, ripeteva. Alberto, invece, aveva lo sgabello rivolto verso la porta d'ingresso e, in tal posizione, qualcuno avrebbe potuto leggere in lui una vivacità improvvisa sul suo viso quando ci fu l'arrivo di Giorgia. 

Invece non saprei dire molto del locale dove stavano trascorrendo una serata che, per Alberto, stava diventando pesante come un pezzo di piombo e per ragioni che lui non si sarebbe mai aspettato: era un locale risaputo, frequentato soprattutto da giovani studenti o giovani disoccupati. Ultimamente Tommaso si lamentava del fatto che fosse fin troppo invaso da canaglia ma nelle sue vorticose meditazioni, nelle sue giornate così tanto rivolte al pratico e all'immediato, al necessario, aveva perso di vista la sua età che, inesorabilmente, aveva superato i trenta. 
Nonostante la canaglia in circolazione, il Frizzo era un posto ben tenuto dal padrone, con bei toni di colore delle pitture interne, un curato arredamento in legno e bei quadri esposti a rotazione mensile da artisti locali; un locale per stare insieme a parlare, a bere, a fumare ma anche per stare soli per ascoltare buona musica con un po' di alcol nelle vene. E quel gruppo musicale, che i due stavano ascoltando con accesa curiosità, era una novità: in passato c'erano stati concertini, solitamente duetti o improvvisazioni a due strumenti, una volta ci fu anche un solista violoncellista. Il gruppo che suonava quella sera, invece, con il cantante giovane e dalla barba canuta e con il batterista che menava troppo, era un'anomalia della storia del Frizzo. 
Alberto era entrato lì sereno ed ora si era impiastricciato con i propri sentimenti rimanendo in ascolto con un pesante silenzio. Anche perché non aveva più neanche la voglia di sforzarsi di parlare all'orecchio di Tommaso dato il fracasso che li circondava. Pensava di andarsene senza attendere la conclusione della serata come spesso aveva già fatto. Aveva lo stomaco pieno di tristezza, o meglio, si sentiva in colpa di aver mentito su Ellie e Tommaso che, chissà come, lo aveva scoperto. Per il resto, per il fatto di Giulia, aveva detto tutta la verità a parte che era preso dalla smania dolcissima di rincontrare quella ragazza, quella che non gli aveva neanche detto che lei era così, come proprio si vedeva in foto. E la cosa che più lo aveva colpito di lei era il senso di insoddisfazione che si portava addosso, in parte involontariamente, ma che le permetteva un'apertura di spirito notevole. Con lei si poteva parlare di tutto e tutto poteva essere messo in discussione. 
Un rotolo di pensieri in continuo svolgimento che fu fermato dall'ingresso di Giorgia nel locale e da un altro inconveniente inaspettato. 
Inizialmente Tommaso rimase in disparte ma lei con ostentata sicurezza si avvicinò. Alberto, di fianco, si limitò ad un cenno di saluto e a un sorriso (data la confusione e la sua svogliatezza improvvisa non riuscì in altro) come per dire che lui non c'entrava nulla tra lei e Tommaso e che era semplicemente amico a tutti e due. Tommaso, invece, si ostinava a non salutarla né a guardarla in faccia, con l'unica nota d'ansia visibile nel fatto che beveva più avidamente dal bicchiere. Vista la scena, o la scenata, Giorgia lanciò un'occhiata ad Alberto come per dire cosa devo fare finché si mise a preparare una sigaretta, la porse a Tommaso a mo' di invito per uscire fuori a fumare. Vedendo che Tommaso si era alzato in direzione della porta, Alberto tirò un sospiro di sollievo: i due stavano uscendo insieme, nonostante il passo svogliato di Tommaso non promettesse nulla di buono. 


Because the night – Patti smith 
Cosa farei con la salma di Mike – The Mansarda Sessions 
I wanna be your dog – The Stooges 


L'inconveniente positivo e inaspettato arrivò da lì a cinque minuti quando il cantante del gruppo, per la prima volta dall'inizio della scaletta – playlist, si mise a parlare e a presentare una canzone scritta in occasione di un avvenimento che aveva destato in loro una interrogativa curiosità: il trafugamento della salma di Mike.



lunedì 5 dicembre 2011

24


  – Comunque so' bravi questi che suonano – – ma tu li conosci? – – da dove saltano fuori non lo so, però sono bravi – – va be' fanno cover – – e che significa? E comunque le fanno bene, la scaletta fa paura – – forse apprezzo più la musica originale – – ecco qua, che non lo sapevo io. Adesso ritira fuori il discorso che è meglio la musica italiana. Vasco volentieri, però... – – no, è che io preferisco sentire le parole in italiano, per capirle – – senti ma che devi capire, anche se non capisci, la lingua, la canzone e la melodia delle parole diventano cosa tua, parlano a te stesso. Non hai mai capito questa cosa – – ho capito, però preferisco il testo italiano, posso valutare meglio... – – la musica si ascolta in verticale e non si valuta. Che vuoi valutare? – – se è buona o no, di qualità, s'intende – – devi guardare a quale scopo è stata fatta quella musica, è un'arte che si presta a molteplici scopi, è chiaro che una musica fatta per uno scopo specifico può essere valutata per il fatto di essere riuscita o no nell'obiettivo – – senti io non la penso proprio così, la musica deve rappresentare qualcosa – – appunto, può rappresentare qualcosa. E chi suona, con l'intenzione di rappresentare qualcosa, intende raggiungere un obiettivo. Nel caso migliore di dire qualcosa di più. Che poi questo sia rivolto al bene o al male a noi non interessa – – bo', però le ragazze che suonano il basso mi fanno sempre impressione – – a me fanno impressione quelle con il cazzo… Senti, ti va di parlarmi di questa Giulia? – – ma veramente non tanto – – lo so. Lo so non ti piace parlare con me delle ragazze. Ma era uno cosa così, per ragionare, per parlare – – nulla di rilevante. È una tipa – – e che tipa è?  – – però è vero, anche di Ellie non mi hai mai chiesto niente e ora mi chiedi di questa Giulia – – e chiamala Teresa, cazzo – – e ancora, sì Teresa – – guarda l'ho vista una volta con te e mi è bastata – – non ti piaceva, come persona – – no, forse – – si ma alla fine che... – – ti dico: non mi aveva fatto una buona impressione. Era troppo morta, flemmatica, con quegli occhioni tutti sproporzionati alla faccia troppo esile. Dai, era un fuscello. Comunque non mi sembrava una tipa cattiva però aveva un non so che di decadente, di quelle ragazze mezze dark che ti vogliono sempre nascondere qualcosa o per gioco o per davvero – – ho capito – – ma non ha importanza, anzi non avrei dovuto esprimere un giudizio su Teresa. Nel senso, non esiste una donna non cattiva. Non parlavo di sembianze fisiche, se belle o brutte, per me le ragazze di chi conosco sono neutre ma quella strana esilità di Teresa nascondeva qualcosa che non mi piaceva, che non doveva fare al caso tuo. Va be' ma dimmi di Giulia! – – si però beviamoci 'sta birra – – quindi l'avevi trovata via chat quando uscì il fattaccio di Mike se non ricordo male – – eh, si – – dimmi allora, poi? – – poi... questa estate sono andato a Trento... – – mamma mia, mi pare di tirarti fuori le cose con le pinze – – si. Mi ti metti davanti come un poliziotto – – ok – – praticamente quest' estate mi sono incontrata con lei a Trento perché vive qui, studia qui, e poi torna a Trento dove c'è la mamma – – ho capito, a Trento. Io non ci sarei andato proprio – – ma stavo in ferie e lei mi ha invitato a passare una domenica... per conoscersi. Solo che io, poi, ci sono rimasto una settimana – – a Trento – – eh no? – – e vi siete visti anche in quella settimana – – si in tutto tre quattro volte – – scusa ma lei rimaneva a casa e tu andavi in giro da solo per Trento come un coglione? Bo'... – – lo sai che dentro casa mia non riesco più a starci, tanto che stavo lì sono rimasto perché lei conosceva una signora che affittava camere anche per una sola settimana e me ne sono andato in giro per il Trentino... – – cioè non era una bed e breakfast, 'sta cosa suona strana ––  va be' non te la faccio lunga, non si trovava un posto libero e alla fine, la sera, l'ho richiamata – – Giulia – – si, per spiegarle che mi sarebbe piaciuto rimanere ma che non trovavo una camera libera, che la città mi piaceva e che volevo farmi un giro da solo – – come un coglione – – e ancora! – – dai scherzavo, continua... – – e così è uscita di nuovo in città e mi ha portato in questa affittacamere, una signora –– ed è finita qua – – no – – poi lei mi ha chiesto se avevo voglia di mangiare una pizza – – e allora era evidente... – – no ma che... non pensare subito a male. è una tipa a posto –– si, si – – mi ha detto che è la prima volta che esce con una persona incontrata in chat e la stessa cosa vale anche per me, lo sai – – eh, lo so. Diciamo che mi fido – – poi un giorno siamo andati sul Bondone... – – sul che? – – è la montagna di Trento – – ah – – e la sera siamo andati a mangiare una pizza. Porca miseria erano anni che non mi divertivo così – – divertimento? – – va be', sono stato bene con lei, a parte la pizza in un ristorante indiano che non  era granché – – beato te che hai il coraggio di mangiare una pizza da un indiano in Trentino – – e poi ci siamo rincontrati per un paio di caffè in piazza – – e poi? – – non ci siamo più visti – – e quando sei ripartito neanche? – – veramente si, ma l'ho solo ringraziata per telefono – – ma sei scemo? – – perché... – – cioè vi siete dati un appuntamento via chat, siete stati più o meno insieme e poi il giorno della partenza non vi siete nemmeno salutati di persona – – forse non poteva venire – – dici... in senso cinetico? – – e dai... che so, forse non gli sono piaciuto, semplicemente – – mi stai dicendo delle fregnacce – – ma porca miseria Tomma', mi guardi come un inquisitore inviperito, perché ti dovrei mentire? – – perché in passato l'hai fatto – – ma dai... quando? – – con Teresa mi hai mentito. Ti incontravi con lei da mesi e a me dicevi che la vedevi così, da poco... – – eh – – mi dispiace ma a volte non mi infondi fiducia – – la verità è che mi sono un po' vergognato, non era una ragazza che poteva piacerti. Mi ero sentito un po' in imbarazzo – – e perché Teresa doveva o poteva piacere a me? Mah... – – ma no, non so come dire... ci sono persone che non presenteresti ai tuoi genitori, chissà cosa potrebbero pensare – – sei sempre il solito... va be' lasciamo stare, in effetti quella lì era strana forte – – si – – lasciamo perde, senti, facciamoci un'altra birra così non ci pensiamo più. La offro io – – ok– – ascolta, invece, com'è 'sta Giulia di Trento? Di Mike ha detto qualcosa? – – non è proprio di Trento – – ah, di dov'è è o non è non mi importa. Sei intontito? – – no – – ma porca miseria, questa fantomatica Giulia ha conosciuto il figlio di Mike! – – e si – – e io voglio sapere, lo sai – – sapere cosa? Me lo hai già detto – – è proprio vero: le stelle stanno in cielo e i sogni non lo so –

Ridere di te – Vasco Rossi
Come bambino – PGR
Shame in you – Alice in Chains

lunedì 28 novembre 2011

23

 – ma non è che con tanti che ci provano con Giorgia devo essere cervo proprio da te? – – ma che dici? Ma stai scherzando? – – ho già un mezzo appuntamento con lei comunque – – ma non ti va… – – non è che non mi va… devo parlarle ma non so bene cosa dirle. E anche sapendolo non saprei come dirglielo. – – non capisco di cosa tu stia parlando – – e lo so… non lo capisco io… figurarsi un altro… – – non ti va di uscire – – no, ma usciamo lo stesso – – ma se non ti va… – – prendi la giacca e andiamo – – dove? – – è essenziale saperlo prima di infilarsi la giacca o te lo posso dire per le scale? O magari appena scesi in strada? Oppure, se non è troppo distante, magari anche dopo cinquecento metri lasciato il portone alle spalle – – non volevo certo infastidirti così tanto – –  non mi hai infastidito. Andiamo ora – – finirò per infastidirti ancora di più, ma quel piano di cui mi parlasti prima dell’estate? – – non te ne ho più parlato perché ora mi pare una mezza cazzata e poi.. aspetta a chiudere che credo di non aver preso le chiavi! A no eccole –.
    L’androne delle scale si buttava giù in picchiata verso il portone, le tre rampe sembravano volerti inghiottire. Anzi, due rampe e mezzo, visto che una era composta solo da qualche scalino per infrangersi su un piccolo pianerottolo che aveva una porticina cieca sul lato più corto. Il passamano di legno, l’inferriata di ferro, con i ricci alle estremità delle barre messe un po’ inclinate, sdraiate quasi. Gli scalini di marmo bianco consumati dai tanti passaggi  e oramai poroso. Tutto vecchio, tutto bohémien – direbbe qualche bohémien. – e poi vedi, io non so bene cosa devo fare con lei. Mi rendo conto che  è colpa mia, che non sono capace di far funzionare i rapporti. Ma poi mi domando che cazzo posso fare per farlo funzionare – – ah non dirlo a me – – che poi non riesco a capire lee. Ma io ho un solo paio di scarpe, sarò complicato, ma ho un solo paio di scarpe – – e questo che c’entra? – – che sono un semplice in fondo, o, che almeno, si accontenta di cose semplici. Tira un po’ più forte che con l’ultima pioggia il legno si è un po’ viziato e fa fatica ad aprirsi –. 
    Scesi in strada Alberto aspettò che Tommaso prendesse una direzione. All’inizio camminavano distanti l’uno dall’altro, come se i loro pensieri li tenesse lontani. Uno da una parte, lungo il muro illuminato da una lampada gialla, e l’altro lungo l’altro muro. Dalle finestre sopra di loro usciva rumore di tv. A mano a mano che scendevano per il vicolo si avvicinavano. Ora, divisi solo dalle loro camminate non proprio da fotomodelli, ripresero a parlare – ma quindi tu non vuoi più vederla? – – se ti dicessi che non voglio più vederla ti mentirei, se ti dicessi che non ci penso a chiudere ti mentirei. Ho una guerra in testa. Ma sono io che sono fatto sbagliato – – io penso a Ellie molto spesso – – e chiamala Teresa cazzo – – il risultato non cambia poi molto. Non so perché ancora ci penso e in fondo mi manca. Ma sono stato io a chiudere – – coglioni si nasce, te l’ho sempre detto – – già – – ma poi penso che è solo una questione di chimica e un po’ mi conforta – – già – – però, d’altra parte, mi anche rattrista un po’ perché leva tutta la magia che crediamo di vivere – – già – – ma che ti si è incantato il disco? – – già – – pirla – – già – – mi era venuto in mente di parlare con il figlio di Mike – – e per dirgli cosa? – – non lo so, ma magari potevamo parlarci – – ho capito ma per dirgli cosa? – – non lo so – – diciamoci la verità Tomma’: tu non sai un cazzo. E di Giorgia non lo sai, e che vuoi dire a questo non lo sai, il piano non ce l’hai… – – già – lo interrompe Tommaso.
    Arrivati nella piccola piazza quasi quadrata, l’attraversano e si dirigono verso il terzo vicolo. Le mani in tasca che cercano l’accendino che con la sua fiamma non fa nessuna differenza intorno, all’inizio di questo vicolo, visto che il lampione spara tanta luce. – Secondo me tra un po’ dovrà succedere qualcosa. Non è possibile che dopo tutto questo tempo ancora non si sia mosso nulla. È quasi un anno cazzo – – era fine gennaio – – appunto, quasi un anno e ancora niente. Certo non voglio fare la fine dei due che hanno condannato giorni fa per tentata estorsione – – chi? – – che andarono dalla famiglia dicendo che erano in grado di fargli riavere la bara – – ah già. Li hanno condannati? – – uno sì, l’altro a giorni. L’hai vista questa? – – cos’è? – – l’articolo della bara con l’antifurto chiamata MIKE – – si si, vista. Da non crederci. Povero Mike. Ti squilla il telefono – – sarà Giorgia. Infatti. Tanto siamo quasi arrivati. Senti, ti va di parlarmi di questa Giulia? – 

Per combattere l’acne – Le Luci della Centrale Elettrica
La Distanza – Paolo Benvegnù
In amore con tutti – Tre Allegri Ragazzi Morti
Just like honey – The Jesus and Mary Chain
Luna - Verdena

lunedì 21 novembre 2011

22

Si erano un po' interrogati sulla faccenda da quando Giorgia aveva fatto notare a tutti e due la loro fissazione per Mike, cosa non nuova ma questa volta lo fece in un modo che Tommaso successivamente lo definì stupido e offensivo. Furono accusati di essere dei bambini. Alberto non diede affatto peso a quella discussione perché nel tono di Giorgia non aveva udito nulla di cattivo. Invece per Tommaso non era stato così e con lei manteneva un clima teso, addirittura di sospetto e Alberto non capiva ancora quale parola di Giorgia avesse così tanto perturbato l'animo di Tommaso.
Si erano accordati per una cena frugale per poi rimanere a guardare un vecchio concerto sul computer: San Siro 10 – 07 – 1990.
Il pentolame giaceva ancora nel piccolo tavolo con nell'aria un fumo stantio di sigaretta.
Alfredo aveva sempre accomunato i due. Netti motivi, in realtà, non ce n'erano ma c'era la convinzione dell'importanza, del valore, ovvero di una vera virtù: quella di saper spiegare le cose con due parole o meglio ancora il riuscire ad aprire un mondo nuovo con una sola frase composta.
E così guardavano il video un po' distrattamente, scene e sceneggiate imparate a memoria. Eppure il monosillabo eh di Vasco era davvero un alto grado di concentrazione di cataste di volumi sul malessere di una generazione. E sul tema di Mike non stava accadendo questo e non era neanche quell'improvvisa voglia che si ha di conoscere tutto di un qualcosa in particolare; più che altro, i due, stavano cercando di ritrovare nel fatto di Mike una regola generale e ciò non significava affatto fissarsi sul particolare. Alfredo è una regola generale: quando si fanno tutti i progetti e arriva il particolare della sfortuna che lascia con le 49 lire in mano senza poter giungere alle 50 necessarie. Colpa d'Alfredo, dunque. E così diceva Tommaso mentre era costretto a glissare il video per far spazio, sullo schermo, ai soliti messaggi. Non si sa mai, diceva, è sempre meglio stare in gioco. A riguardo, spesso, anche Alberto era d'accordo.
-Si ma allora andiamo... una birra? Si o no? E poi spero di incontrare Giorgia--Faccio prima i piatti—lascia stare e lasciali stare in pace i piatti. Li farò io—Senti Tomma'...--dimmi--poi, quel piano che mi dicevi?--
Non ottenne risposta.
Alberto capì che non era il momento, anche perché aveva visto come, Tommaso, al pronunciamento di Giorgia, aveva avuto una percepibile esitazione, di quella che si ha quando si è contornati dalla noia.

lunedì 14 novembre 2011

21


Probabilmente non si farà onore a Tommaso e Alberto, ma questo tipo di discorsi sono perfetti per rimanere lontano dalla realtà. Le loro realtà intendo. Prendete Tommaso. Che cosa spera di ricavarne da tanto accanimento verso una vicenda improbabile e a tratti inverosimile. Così come Alberto. Certo, lui ha molto altro per la testa. Prendete le storie/non storie con Ellie e con Giulia. Lui sì che ha ragioni per cercare di pensare ad altro. Prendete, per esempio, la copertina di Colpa d’Alfredo. Quella con la foto sulla nuca di Vasco – il Vasco che anche i sessantenni conoscono, non quello contemporaneo dell’élite indie. Il volto guarda altrove. Starà dando le spalle a chi lo guarda. Se ne fregherà di chi gli è dietro. O forse vuole solo non guardare. Non vedere. Non sapere. Ora, non vorrei infognarmi in una disquisizione su un brano musicale come all’inizio de Le Iene, ma Colpa d’Alfredo è un pezzo sottovalutato. Qui non si parla di Madonna e se si riferisse a una fava enorme o parlasse di una ragazza vulnerabile. Ma si parla di Alfredo. Vista così sembrerebbe la tipica canzone che racconta una storia. Ultimamente ce le siamo un po’ dimenticate questo tipo di canzoni e siamo un po’ più assuefatti da quelle che parlano per immagini. Disabituati ai campi lunghi e abbiamo più familiarità con i videoclip insomma. A un primo ascolto, dicevamo, Colpa d’Alfredo racconta la storia di un tipo che vede andare via la tipa su cui ha messo gli occhi con un altro. Lui è un negro. Lei una troia. Già qui si metterebbero in chiaro due cose che caratterizzano i due. In maniera alquanto negativa sembrerebbe. Invece lui, il tipo che è rimasto solo e guarda lei e l’altro andare via, è uno che c’è rimasto male e che dà la colpa al destino che si personifica nel fatidico Alfredo. Lui, sta dalla parte dei giusti, dei buoni, degli onesti e l’unica cosa certa è che la colpa è di Alfredo. Questo a grandi linee. Povero Alfredo. Tralasciamo l’acquisto dell’auto e dell’improbabile asse Modena – USA. Alfredo in fondo chi è? Alfredo siamo noi. Ma è anche gli altri. Noi che inveiamo contro noi stessi e ci usiamo come scusante. Chi racconta la storia in fondo è un mezzo disadattato. Come Alberto e Tommaso. Loro danno la colpa al mondo per tante, troppe cose. Sono consapevoli che non può essere però sempre così, e questa seria consapevolezza li fa sentire ancora più colpevoli nella loro inadeguatezza, nella loro mancanza di iniziativa e di prontezza, nella loro ingenuità e faciloneria di sognatori. Tra di loro sono molto più simili di quanto Alberto possa immaginare. Per un semplice fatto: sono essere umani. Così unici come tutti e perciò così uguali. Cambiano nomi, città, situazioni, ma, poi, alla fine è tutto molto, molto simile. Alberto fermo in mezzo, tra la dolcezza dell’amore di Ellie e l’essere fascinato dall’ignoto rappresentato da Giulia. Va bene, con Ellie non si sente da un po’, ma lui la sentiva come un pensiero che faceva parte del suo tessuto cutaneo e che trasudava senza controllo. Tommaso sempre turbato dalle vicissitudini con Giorgia e, nonostante le sia legato profondamente, non riesce a far funzionare la loro storia. E Mike è la loro piccola isola felice. Dove poter stare ad arrovellarsi il cervello con mille congetture e con tutti i se e i ma che non fanno male a nessuno. Soprattutto non fanno male alle persone che gli stanno accanto e possono mettere da parte per un po’ il loro Alfredo. Colpa d’Alfredo potrebbe essere il manifesto del loro vivere insieme, della loro morbosa ricerca di altro, del non volersi rassegnare a un certo andare avanti delle cose pur essendone succubi. Colpevolmente succubi. 




lunedì 7 novembre 2011

20


-Ecco la lettera di ringraziamento, ci tenevo a fartela leggere—non ne ero a conoscenza veramente... --eh, sei stato a Trento con le trentinozze, ci credo cavolo. Comunque... Trento... va be'--e basta con questo odio innato per il Trentino!-- Già, scusa ma è una zona che mi fa venire in mente Heidi e, niente, anzi, lasciamo perde i patetismi delle caprette che ti fanno ciao. Guarda, leggi, leggi, che tanto è cortissima—caffettino pronto—ok grazie-- si ma sediamoci al tavolino-- ok—in effetti visto che hai citato i patetismi, io la trovo proprio patetica 'sta lettera, forse un po' finta-- va be' ma è una lettera di ringraziamento, cosa ti aspettavi?--sinceramente non mi aspettavo una lettera di ringraziamento, nel senso che... non lo so... ecco, qui si ringrazia un pubblico televisivo, una massa e invece, veramente, uno ringrazia un amico, un familiare, una persona, un gruppo di persone. Qui si ringrazia una massa che è irreale, cavolo-- lo trovo un semplice gesto di cortesia-- tu dici?-- si, perché cosa c'è di irreale in una massa dal momento che è una audience o un pubblico televisivo e che è più che presente! Oh, Albè! Le pubblicità pagano oro colato per i loro passaggi. La massa e il pubblico ci sono eccome. Sono reali!—si però... non saprei... il pubblico è lì come una cosa a senso unico. È amorfo. Non c'è un vero e proprio scambio di parole o di sentimenti. Non c'è dialogo insomma-- e no: leggi qua: “Ci hanno detto: ci mancherà la sua compagnia. Quanti ce ne hanno parlato. Chi ricordava il giorno del proprio fidanzamento, e in tv c'era Mike. Chi una sera particolare, in cui aveva ricevuto una certa telefonata con una bella o brutta notizia, e in tv c'era Mike. Era uno di famiglia, ci hanno detto in tanti. Una signora ci ha fatto sorridere: ce l'avevo sempre nel tinello con me-- Si d'accordo, ho capito ma è un immaginario collettivo—però pure quando ciatti, in fondo, le cose le immagini-- Ok, ok. Si, ma c'è un colloquio, c'è un dialogo scritto. Dai... un botta e risposta! La chat non è finta, è virtuale nel senso che manca di fisicità—e invece secondo te tra le massaie casalinghe in casa e Mike non c'era nessun rapporto-- si c'era un legame ma era finto-- mmmh—lo so, non sei convinto-- no, perché il legame si è sviluppato con la sua morte e credo si sia rafforzato ancora di più con il fatto del trafugamento--
Pino, da dietro il bancone, dardeggiava occhiate curiose al discorso dei due. Anche perché avevano iniziato con un fitto mormorio e mano a mano avevano alzato sempre di più la voce. Dal retro del banco, forse un po' innervosito, Pino passò davanti ai due per dare qualche colpo di spugna alla specchiera, una applique che gli aveva regalato suo fratello Gino; un bel regalo, che faceva da quinta teatrale nella parte ovest del bar. Così, poi, con un sorriso delicato sul faccione (sempre gioioso), come quello di un bambino troppo pasciuto, afferrò le carte che Tommaso aveva lasciato sul bancone e le gettò sul tavolino.
-Perdonami Pino--certo che la gente sta fuori di testa—scusa Pino ma il tuo bar è in posizione veramente strategica, una strada proprio di passaggio. Ne passano certe che mi distraggono troppo—è vero. Anzi, ti stordiscono proprio—insomma Pino, meno male che ci sono pure le femmine brutte che sennò eravamo perduti—Ah! Questa è buona, la dico a Gino! No, dicevo che la gente sta fuori di cervello nel senso che anche io avevo sentito della salma--
Quindi si allontanò dai tavoli.
-Ecco Albè, quello che volevo dirti è che c'è differenza tra virtuale e finto. Secondo me questa qua è una cosa veramente finta, cioè il fatto che la moglie di Mike, la Zuccoli, a Chi l'ha visto ha parlato di una persona scomparsa ma morta, allora di una salma scomparsa perché non si sa mai che si vedesse in giro un morto che cammina. Uno zombie, insomma—povero Mike—ma dico, perché povero, io dico poveri i familiari che non lo hanno più. Ma, cavolo, è una questione di dignità! Non è dignitoso non avere più la salma di un caro defunto così come, dignitosamente, dopo i funerali, loro hanno scritto una lettera al pubblico perché, d'altronde, avevano ricevuto dei messaggi di cordoglio dagli italiani—ma...-- no no, aspetta, secondo me sbagli a fare filosofia su un fatto che non presenta problema!-- come non presenta problemi? Il fatto di Mike è un casino!!!-- Ti dicevo che non è questa lettera il problema-- allora dov'è?--la poesia di Alda Merini su Mike l'hai letta?--

mercoledì 2 novembre 2011

19

Noncurante di essere in un condominio, dal suo balcone, un signore intonava Gloria con una chitarra molto serrata. Un pezzo di Patti Smith? O di lei che faceva una cover dei... non ricordava. Tommaso lo avrebbe saputo.
Alberto guardava dalla finestra quell'uomo che urlava a squarciagola e che lasciava al vento dei capelli bianchi, lisci e lunghi: un vero reduce degli anni '60. Cosicché, mentre si accingeva a chiudere la finestra, le linee dell'orizzonte intrapesero un disegno dalle tinte opache.
Si lascio andare sul letto: sentiva come un addio dentro di sé. Ellie.
Nella mattina trascorsa aveva ben visto Tommaso invadere barbaramente il povero bancone del locale di Pino (e non solo con quel suo chiacchierio sicuro, fermo e costante) con fogli, carte e brogliacci di ogni genere. E infine Alberto gli aveva detto che Mike gli stava diventando un po' come l'esangue Ellie: un pensiero che faceva parte del suo tessuto cutaneo e che trasudava senza controllo, casualmente. È vero anche che in quell'estate trascorsa, a Mike, ci aveva pensato un po' di meno ma c'era sempre stata una legge naturale in atto, proprio come quella del sudore mentre si corre per una strada.
Item Ellie. Perché c'erano coincidenze e c'erano cronologie: era l' 8 di settembre quando ci fu il fatto di Mike (e si viziò qualcosa in quel periodo con Ellie) e il 25 gennaio 2011 ci fu il fatto del trafugamento; lo stesso 25 gennaio dell'anno precedente ci fu la prima passeggiata con Ellie al luna park e, per così dire, il primo contatto amorevole. Dunque, precisamente il 25 gennaio 2010. Diavolo, stava indagando su se stesso. Ed anche con l'amaro in bocca.
Allora la cronologia era un compromesso per comprendere meglio il tempo. Tutto qui. Ma gli si stavano chiudendo gli occhi, ed era in trappola di un anomalo torpore.
E poi Mike fu licenziato da Mediaset.
A Natale non gli arrivò il rinnovo del contratto, allora, informandosi con una telefonata, gli dissero che per carenza di fondi non era stato possibile rinnovarlo. Così, dopo più di trent'anni di lavoro, lo abbandonarono senza nemmeno salutarlo e senza neanche tanti complimenti. Sparirono tutti. E lo stesso Mike confessò a Fazio: “È un mistero”. Allora cercò di contattare il patrono Silvio Berlusconi ma senza successo poiché sempre congedato dalla solita scusa: il premier non c'era perché si trovava intrappolato da gravosi impegni istituzionali. E Mike non ha mai avuto spiegazione del suo licenziamento e non è mai più riuscito ad ottenere chiarimenti o motivazioni dal patrono quando, poi, lo stesso, ogni santa settimana, gli telefonava per sapere come stava, proprio come se fosse suo nonno. Avevano anche lo stesso parrucchiere.
Un'anima addolorata.
E Alberto ricordava bene la partecipazione di Mike alla trasmissione di Fazio quando, disperatamente e sinceramente, chiedeva al patrono di telefonargli proprio mentre si accingeva a rispondere alle varie domande del giornalista. E, così, di fronte alle telecamere, Mike implorava: “Chiamami, sono qua, perché non mi chiami? Perché non posso parlarti?”, completamente ombrato da un moto altalenante di modestia e vittimismo.
Una storia d'amore finita a male: “Ho sofferto molto”.
Io non ho mai fatto niente di finto”, aveva aggiunto amaramente: “Niente di finto: io sulla mongolfiera, per le riprese di quella pubblicità lì, ci sono salito veramente”.
Una storia d'amore finita nemmeno tanto male, perché dopo qualche tempo gli arrivò un nuovo contratto con un'altra emittente televisiva: Sky.
Imbarazzante il riferimento del suo (ex) patrono, il giorno dei funerali, al passato partigiano di Mike ché fu eretto a patriota quando è noto che Berlusconi ha da sempre sviato, in un modo o nell'altro, i festeggiamenti del 25 aprile. Non proprio come Mike, quindi, che qualche tempo prima della morte, aveva cercato di spiegare a Fazio che non aveva mai fatto niente di finto, che non aveva mai mentito: “Per carità, probabilmente morirò dicendo: assaggiate il prosciutto tal dei tali”. Una finzione che, se c'era, era innocente e di chi intendeva fare bene il proprio lavoro, con un senso di responsabilità, appunto, e per questo non si può dire di un martire.
Imbarazzante è vivere in un mondo dove fare bene il proprio lavoro non è più una normalità ma una santità.

lunedì 24 ottobre 2011

18


Cosa certa è che questa mattina il cielo è bello, la luce obliqua e gialla dell’autunno oramai è arrivata e la città è sempre la stessa. Cambiano solo le vetrine. Ora c’è la collezione autunno inverno, quando poi oramai si indossano, anzi, si portano gli stivali d’estate e i sandali di inverno. Parlo di moda femminile, gli uomini sono rimasti ancora indietro su questo fronte. Sono quasi arrivato. Girando il palazzo vedo già Alberto che se ne sta al sole. È bello il sole in questi giorni. Sembra meno angosciante la vita quando te ne freghi. Sembra.
buongiorno - - buongiorno - - è un abbraccio virilmente vigoroso o devo preoccuparmi? - - sai da quanto è che non ci vediamo? E soprattutto che non ho tue notizie - - scusa se non ti ho mai risposto - - quello sarebbe il minimo. Il fatto è che non hai mai richiamato - - sono stato un po’ impicciato - - ma almeno alle email.... due righe per dirmi che eri vivo potevi scriverle - - e lo so… ma proprio non ero predisposto per comunicare - - ma dove sei stato scusa? A casa tu non c’eri. Ho chiamato anche a casa dei tuoi - - se si deve sparire si deve farlo bene - - io non è che ci trovi molto da ridere. Mi hai fatto preoccupare - - scusa mamma - - stai bene almeno? - - ho passato momenti peggiori, ma anche migliori - - e allora l’eremitaggio a cosa ti è servito? - - quest’anno ti regalo il libro dei perché a Natale. Dai, prendiamo il caffè -
buongiorno Pino - - giorno - - buongiorno ragazzi. Caffettino? - - si, grazie. Uno al… - - uno al vetrino - - si grazie. Si vede proprio che sono terrone. Tu che racconti invece? - - ma, niente. Ho girato un po’ quest’estate. Sono stato anche a Trento - - e che cazzo ci sei andato a fare a Trento? - - ecco a voi ragazzi - - grazie - - un giro - - un giro a Trento… mah… ti posso chiedere un bicchiere d’acqua gentilmente - - eccolo - - grazie - - figurati - - senti, ho quasi messo su un piano - - un piano? E per cosa - - poi ti dirò, ci sto lavorando - - mi fai paura quando fai così - - hai letto la lettera della famiglia di Mike? - - si, ma senza di te non è che mi sia poi più interessato in verità - - capito. E quella tipa in chat la senti ancora? E quella dal vivo invece? - - cosa ridi? - - niente, mi faceva ridere che oramai c’è un vivere virtuale e uno reale. Se ha ancora senso parlare di realtà. Insomma? Mi rispondi? -

lunedì 17 ottobre 2011

17

La prima cosa che faccio appena mi sveglio è vedere che ora sia. Non riesco a ricordare da quando è cominciata questa mia cosa, ma proprio per questo motivo mi pare che da sempre accertarmi di quello che segna l’orologio sia stata la mia prima preoccupazione appena sveglio. Ma per sveglio non intendo la mattina, intendo sempre e comunque. Che sia notte fonda, lo svenire sul divano piuttosto che svegliarmi prima della sveglia al mattino. La seconda cosa che faccio è accendere il cervello. Acceso il cervello è come se non avessi mai dormito. Subito comincio a pensare. A pensare a quello che devo fare di lì a poco, durante la giornata, poi mi torna in mente qualcosa della sera prima, del pomeriggio prima, della mattina prima. E poi di nuovo penso a quello che dovrei fare nel corso della giornata, buoni propositi, cattivi pensieri, cose che magari mi porto dietro da anni e che anche in questa giornata ancora non iniziata, rimetto in una improbabile agenda mai in linea con il GMT. Acceso il cervello penso che tra non molto incontrerò Alberto. Poi un lampo. Mi torna in mente che appena prima di aprire gli occhi stavo sognando. Sognavo di star intrattenendo una conversazione impegnativa con Giancarlo, un ragazzo più grande di me con il quale tanti anni fa uscivo. Era troppa impegnativa. E io con Giancarlo proprio non avevo voglia di parlare. Ma il discorso era veramente impegnativo. Questo mi sorprende spesso nei miei sogni: i discorsi impegnativi che riesco a fare, quegli stessi discorsi che puntualmente da sveglio evito di intrattenere. Per completare l’azione ricordo del sogno, mi appaiono anche un paio di diapositive. Fotogrammi – nel vero senso cinematografico – del sogno. E dopo le diapositive esplicative del caso torno a pensare a oggi. Gli occhi impastati, che pesano, che cercano di proteggersi dalla poca luce che si intrufola nelle persiane. E cercano di proteggersi anche dalla terza cosa che faccio appena sveglio: guardare di nuovo l’orologio. Perché in questo stato di semi coscienza, in questa summit mattutino tra me e il mio cervello, non mi rendo conto di quanto tempo sia passato. La quarta cosa che faccio è stirarmi. Scendo giù nel letto e stiro gambe e braccia. Le braccia in alto però. Facendolo, incrocio le mani e faccio scrocchiare le dita a mo’ di specchio riflesso. Contraggo i muscoli delle gambe. Piedi a martello, ginocchia estroflesse e via a contrarre. Alla coscia destra puntualmente sento nascere un crampo. E allora mollo. Ha ragione lei, dopo tutte quelle che ha passato, non mi sono mai preoccupato di recuperarla appieno. Me lo merito. La quinta cosa che faccio è prendere coraggio. Prendere coraggio perché, a un certo punto della giornata, potrei sempre pensare “ma chi cazzo me l’ha fatto fare ad alzarmi oggi”. È un pensiero che può capitare. E capita spesso. La sesta cosa è alzarmi. Copro la distanza che c’è tra la camera da letto e il bagno con un deambulare poco elegante. Immagino i primi ominidi che provavano a camminare eretti e immagino anche Frankenstein che muove i suoi primi – o sarebbe meglio dire secondi? – passi nello stupore di uno straordinario Marty Feldman. Le cose a seguire che faccio in bagno sarebbero poco eleganti da riportare. Ma il pensiero di vedere Alberto invece lo porto con me in bagno. So che mi chiederà. E che dovrò anche rispondere. Ma non ne ho assolutamente voglia. Alberto è la tipica persona che vuole spiegazioni. Alberto è la tipica persona che cerca motivazioni, i perché delle cose. Io queste risposte non ce l’ho. Lo specchio dice che il tempo passa. E io non sarò mai pronto. Per vestirmi invece sì, sono pronto. Il progetto metodico, e spesso tutt’altro che di facile attuazione, di vestirsi a cipolla in determinati periodi dell’anno è catastrofico per il mio equilibrio mentale. Ma, fregandomene altamente dell’accostamento dei colori, dell’ultimo prêt-à-porter e di quello che potrebbe pensare la mia ex, mi vesto e mi avvio. Se ci fosse il fantomatico narratore onnisciente, considererebbe che il mio farmi una sigaretta mentre cammino potrebbe avere un qualcosa di westerniano e invece cammino così solo per non perdermi per strada tabacco, porta tabacco e pantaloni. Lo stesso narratore direbbe che l’esitare un attimo nell’avanzare per accendermi la sigaretta potrebbe ricordare i migliori film degli anni passati quando in tutti i film si fumavano sigarette in ogni dove in quantità esagerate. Si soffermerebbe nel modo in cui schermo la fiamma per dare fuoco alla punta della sigaretta fatta in casa. Direbbe che il proteggerla, non solo con la mano, ma con quasi tutto il corpo, sembra più un gesto d’amore che un continuare verso un tumore ai polmoni. E sempre lo stesso narratore direbbe che il fumo che fa capolino tra bocca e naso è un po’ come i pensieri del nostro. Ma diciamoci la verità: come fa questo benedetto narratore onnisciente a sapere tutti i cazzi miei? Certo, è onnisciente e quindi può. Ma va be', questo non so proprio come mi sia venuto in mente.

lunedì 10 ottobre 2011

16


Da due anni soggiornava in quella stanza non molto distante dal centro, ariosa, con un balcone. Ai primi giorni credeva un po' alle favole: in tal senso aveva acquistato dei fiori, di quelli che vendono all'ingresso dei supermercati, che se uno ha voglia di comprare tutto li compra appena entra perché li vendono a due soldi e se invece uno è squattrinato e ha fatto il giro del supermercato e ne è uscito deluso, li acquista ugualmente (posizioni strategiche). L'idea favolosa, di abbellire di colori il balcone con i fiori, le era saltata in mente appena aveva messo piede in quella stanza. Forse perché era stato un giorno di pioggia e la camera era assai spoglia. E comunque li acquistò.
Una favola che si concluse molto presto. Dopo un po' di giorni i fiori seccarono tutti.
Troppo sole, troppa acqua, cure non regolari, chissà, e tutto andò a male. Non credeva ad una vita da favola e che potesse nascere dal nulla, tutto qui, e non credeva nemmeno alla morale in genere. Eppure per questa cosa ci piangeva dentro: ci pensava, a volte, al fatto che non era brava a tessere le cose.
Si trovava alla stazione dei treni, Giulia, con il pc aperto sulle ginocchia. Ferma con il cursore lampeggiante sul log in del suo account.
Ma nelle stazioni c'è poco da passare tempo, queste sono fatte per le attese e basta. C'erano momenti di rumore assordante e altri momenti di spontaneo silenzio in quel posto, un po' come il dialogo che aveva avuto con il Certoalberto, così lo aveva soprannominato nei suoi pensieri. Le sue parole, per quanto semplici, l'avevano colpita, più che altro, per il contesto a cui erano riferite. E si riferivano, in fondo, ad una favola.
Alberto era riuscito a trasmetterle quella sensazione che aveva sentito il primo giorno che era entrata nella sua nuova stanza; era riuscito a farle risuonare qualche armonico nascosto nella sua vita; era una persona che le aveva donato di nuovo non tanto la curiosità per le cose ma la meraviglia per le cose quando, da due anni, era semplicemente stanca delle novità. E poi, spesso, non era riuscita a trovare, in quel dialogo, le risposte alle sue domande. Un fatto che non le accadeva più da quando era stata una bambina.
In verità, confessava a se stessa che aveva una grande voglia di incontrare Alberto. Per la prima volta, da tempo, aveva come la sensazione di tradire quell'apatico moroso di Luca: l'avesse mai omaggiata con un fiore. Sempre con quei giornali sotto il braccio e con il colletto tutto attillato. Non aveva mai capito se li leggesse o no o se gli dava solo piacere di avere incollato addosso il nome di quel quotidiano. L'Unità, appunto, senza essere in grado di unirsi veramente ad una persona.
Di fronte a quelle rotaie dei treni le scappò un sorriso involontario. Forse non era stata colpa sua l'essere incapace di tessere la vita ma era stato il contesto, tutto.
Mentre era andata alla stazione col taxi, non aveva capito perché, le aveva fatto uno strano effetto notare un uomo sui trent'anni o un ragazzo cresciuto, che dir si voglia, con la maglietta dei Verdena (che fosse stato lui, Alberto, il Certoalberto) che cantavano di un malessere adolescenziale senza età anagrafica.
Giulia guardava davanti a sé: “Tavolini che sembrano aspettare altra gente, un altro momento”.

lunedì 25 luglio 2011

15


Sentiva una morsa chiudere lo stomaco e si recò al lavoro completamente deconcentrato. Inoltre quei fastidi in testa gli stavano diventando un tormento. Ritrovò un po' di lucidità al ritorno, in autobus, con gli occhi persi tra le immagini sfuggenti del finestrino.
Scese nel basso dei pensieri più sciocchi dopo quella flotta di emozioni che l'avevano travolto mentre aveva discusso con Tommaso. Perché c'erano stati grandi movimenti in lui e questi avevano spazzato via le nuvole alle spalle. Ora aveva con sé pensieri senza grandi possibilità. Era improvvisamente tornato al punto di partenza, come quella di uno start di una gara ad ostacoli dove sia la dinamica che il vincitore sono più che incerti.
Scese nel basso dei pensieri più sciocchi, in silenzio.
C'erano tutti gli ingredienti di un grande giallo: due testamenti non coincidenti, come dire, due fazioni in lotta e un cadavere scomparso. Può anche darsi che lo stesso, sia stato trafugato perché aveva indosso qualcosa di compromettente - per il testamento? - o un segno che dall'autopsia non era stato notato – ma l'autopsia l'avevano fatta?
Allora era accaduto un omicidio, già, il povero Mike era stato assassinato e il trafugamento della salma non era stato altro che un occultamento di prove.
Alberto afferrò il cellulare lasciando in sospeso il pollice sul tasto verde, doveva sentire Tommaso.
Eppure Tommaso non solo lo avrebbe deriso ma lo avrebbe anche umiliato - ma si... avrebbe avuto ragione. In fondo Alberto sperava proprio di non trovarsi di fronte ad un bel giallo ma ad un'azione, a qualcos'altro, ad un'azione di qualcuno che voleva qualcosa per cambiare qualcosa.
Verso il condominio di casa, camminava a passi spenti. Non si accorse che, alle sue spalle, da un taxi, qualcuno lo stava osservando.

lunedì 18 luglio 2011

14


- ciao - - ciao - - come va? - - la solita. Tu? - - uguale - - devo dirti una cosa - - spara - - insomma ho conosciuto una… e… - - ti piace? - - boh, non saprei. Ma non è questo il punto - - e com’è? - - mi fai finire! - - pardon… - - insomma, questa tipa sta a Milano credo… - - come credo? - - se mi dai il tempo di finire… ce la fai a non interrompermi per 3 minuti? Grazie. Insomma, ti dicevo, ho conosciuto questa tipa che probabilmente vive a Milano o giù di lì che ha incontrato il figlio di Mike - - maddai?!!? - - sì, l’ha conosciuto in un locale. E mi ha detto che diceva che un suo amico lo prendeva per il culo sul fatto della salma - - e lui? - - e lui niente. Pare ci ridesse su - - perché hai usato quel tono? - - quale tono? - - quel tono sul “pare ci ridesse su” - - non mi pare di aver usato nessun tono in particolare - - l’hai detto con un tono di sufficienza misto a rimprovero - - ma che dici? - - quindi tu non pensi che ridere su una cosa del genere sia poco edificante - - ora edificante dove l’hai tirato fuori - - rispondi alla domanda – no… è che mi fa un po’ strano che possa ridere su una cosa del genere - - e cosa dovrebbe fare invece? - - ma non lo so… ma ora perché fai così? - - perché tante volte non sei tanto diverso da tutto quello che tieni lontano –
In fondo Tommaso aveva ragione. In quell’istante scese dell’imbarazzo tra i due. Perché Alberto l’aveva vista così quell’atteggiamento del figlio di Mike. Come l’avrebbe visto sua madre o sua zia. Con quel pesante senso del buon costume che applichiamo sempre agli altri, ma raramente su noi stessi. E Tommaso era uno stronzo, perché avrebbe potuto levare subito l’amico dall’impaccio, almeno subito dopo avergli fatto notare questa, in fondo, stupida, cosa. E invece no. A lui piaceva avere ragione e non perdeva occasione per farlo notare, e perché no, pesare. Poi con Alberto aveva questo rapporto che molto spesso non era alla pari. Alberto di lui aveva bisogno dei suoi punti di vista sbilenchi e Tommaso invece aveva bisogno della freschezza di Alberto. Ma non sopportava il suo impaccio su certe cose. Cose come queste. Cose stupide, ma che gli davano molto fastidio. Quando finalmente si decise – e che altro ti ha detto questa tipa? - - niente di che - disse Alberto sistemandosi gli occhiali sul naso. – tanto io lo so che hai pensato - - cioè? - - tu hai pensato “povero Mike”, io lo so – e mentre avvertiva di avere di nuovo ragione tirò fuori due fogli A4 stampati con una stampante che stava per finire l’inchiostro. – guarda qua - -cos’è? - - pare che il testamento di Mike sia sparito, o meglio, uno dei due - - come uno dei due? - - leggi - «Dopo il giallo del furto della bara di Mike Bongiorno, il popolare presentatore scomparso l'8 settembre del 2009, gli inquirenti lavorano a un altro mistero. Secondo quanto riferisce il quotidiano 'La Repubblica', infatti, il 16 settembre del 2009, otto giorni dopo la morte di Mike, un amico del presentatore, il commercialista Livio Strazzera, aveva incontrato la vedova, Daniela Zuccoli, informandola di essere in possesso di un testamento che il celebre amico gli aveva affidato circa un anno e mezzo prima. La Zuccoli, stupita della notizia, informò Strazzera che il 28 settembre del 2008 Mike Bongiorno aveva depositato presso il notaio Iannello di Milano un testamento ufficiale. I due documenti, secondo quanto afferma il quotidiano citando Strazzera e la Zuccoli, sarebbero stati quasi uguali: quello in possesso del notaio milanese avrebbe ripartito i beni del presentatore dando il 51% alla moglie e il restante 49 ai tre figli, mentre quello custodito da Strazzera, assegnava alla Zuccoli il 50% e la restante metà ai tre figli. La stessa notte dell'incontro tra Strazzera e la Zuccoli, però, il commercialista ricevette la visita dei ladri che, dopo un lungo lavoro di fiamma ossidrica e piede di porco, rubarono la cassaforte che conteneva il documento di Mike». - ma che cazz.. - - e non è finita: ti ricordi quei due tizi che presero quando uscì fuori quella improbabile storia della richiesta del riscatto? - - si - - non si sa che fine abbiano fatto quei due tizi - - staranno dentro - - si sarebbe saputo - - saranno solo due sciacalli dai - - la fai finita di parlare come la televisione per favore? - - ma oggi ce l’hai con me? - - neanche ti rispondo. Fatto sta che qui c’è qualcosa che non ci fanno sapere o che magari neanche loro hanno capito - - cioè? – - non lo so. Ma pensi che quella tipa potrebbe farci incontrare il figlio di Mike? - - e per dirgli cosa? - - non saprei. Magari ci penso e poi vediamo di combinare - - ma l’ha incontrato per caso in un locale una sera - - dici che non potrebbe ripetersi un altro caso - - dico che non ha senso - -

lunedì 11 luglio 2011

13

Ad Alberto mancava una diversità di toni, mancavano dei nuovi spunti, da quando ormai si era congelata in lui, né felice né infelice, Ellie.
C'era un sogno mancante in lui. Aveva come il bisogno, il desiderio, di voler resistere ad un assedio che, in concreto, nella sua vita, non c'era mai stato. C'era una grande voglia di entrare in contatto, con la carne e tra la carne. Qualcosa di semplice: Ellie, non si faceva più sentire, era come una muta indifferenza. Ma il fatto è che neanche Domitilla11 non lo attaccava e non lo assediava in nessun modo. Era stato sempre lui a fare il primo passo e non era mai stato certo che questo sia stato sempre accettato con benevolenza.
Era attraversato da un coagulo di poco definibili sensazioni mentre si dirigeva al solito appuntamento con Tommaso, con le maniche della giacca che gli sbatacchiavano sui polsi.
Il caffè.
E poi quel locale... che locale era? Domitilla11 lo aveva salutato con un semplice buonanotte senza molti convenevoli mentre a lui era rimasta addosso una spiacevole tensione, non molto serena, appunto, poiché d'incerta provenienza. Ma (che poi) era proprio lei, la Domitilla11 - Giulia, quella che vedeva in foto?
Gli tornò in mente quella prima volta che aveva creato l'account in quel forum lì. In altre occasioni aveva inserito delle immagini astratte che spesso non rappresentavano se stesso né il suo carattere (che neanche Alberto stesso conosceva – si può dire così) ma solo il suo stato d'animo temporaneo: le aveva scelte al momento, da quell'amalgama di colori che è internet ma non aveva avuto nessun successo particolare: nessuno lo contattava, nessuno lo ringraziava per un suo eventuale intervento in discussione. È noto che internet è stata una rivoluzione non per gli informatici ma per la gente comune. Ma Alberto, per quanto avesse cercato di tessere la sua tela lì in mezzo, era riuscito sempre a passare inosservato, in uno stato di banalità tanto simile all'indifferenza che aveva ricevuto ultimamente da Ellie. Allora, probabilmente, tutto dipendeva, come gli aveva fatto intendere Domitilla11, dai suoi stessi interventi: troppo indecifrabili, più che altro fuori luogo in quell'insieme di punti esclamativi che, ad Alberto, apparivano come delle inquietanti allegrie spensierate. Non erano i forum giusti per lui, aveva pensato. Si, ma non ne aveva trovato altri che abbracciassero i suoi interessi: più che i suoi argomenti, o i suoi interessi, non aveva trovato una cosa simile al suo tono, ai suoi modi. O si parlava e ci si accaniva per frivolezze o si discuteva a proposito di argomenti tanto eruditi e specialistici e ricolmi di tecnicismi, al punto che, anche questi, diventavano cose da barzelletta. Mancava la leggerezza, l'intelligenza: invece no, o la tecnica o culi e tette.
Aveva maturato, dentro di sé, una terza via. È per questo motivo che si potrebbe spiegare una sua amicizia con Tommaso, un'amicizia intesa come un profondo rispetto, per quanto Tommaso era di molto diverso da lui.
Ma tornando al fatto dei forum e dei suoi insuccessi di comunicazione, Alberto capì che ciò che non attraevano gli altri a lui erano le immagini che inseriva nel nickname. Di esse provò, nel tempo, varie tipologie eliminando le astratte e inserendo alcuni disegni più concreti, dapprima dei simboli: una chiave di violino piuttosto che un sole stilizzato. Ma non funzionavano affatto. Capì, quindi, che erano astratti anche questi, i simboli facevano parte della sfera del sacro, della religione.
Un giorno inserì un semplice cactus, poi un bonsai ed eppure non capiva perché gli altri avevano successo nei forum e lui no. Senza nessun motivo particolare inserì il simbolo della giustizia con la scritta lex e un tipo lo contattò parlandogli di Berlusconi.
Allora lasciò fare le cose agli altri: scrisse Alberto sul motore di ricerca e tra i vari Alberti usciti, scelse il cantante dei Verdena, forse non molto noto e con una faccia non proprio da divo, un po' più reale, quindi. E poi aveva scritto anche belle canzoni, gli piaceva e aveva più o meno la sua stessa età. Domitilla11 aveva conosciuto quel nickname lì, quello con Alberto dei Verdena e le aveva spiegato, una sera, che suonava la chitarra e che adesso, però, non suonava più da un po' di tempo perché aveva litigato col gruppo ecc. ecc., frottole, ovviamente. Ma con quella immagine lì le cose presero ad andare un po' meglio per Alberto, chissà, forse anche per puro caso. E si era divertito anche non poco, quando Domitilla11 gli chiese quale fosse la sua musica preferita, quella che amava ascoltare e lui le aveva risposto, tra gli altri, i Verdena, e dopo un po' lei gli citò anche gli altri compnenti del gruppo e Requiem, l'album preferito, a detta di lei. Ma i sospetti di Alberto erano molti: conosce i Verdena e non sa la faccia del cantante? Forse era proprio così...
Ma a causa di questa serie di pensieri, mentre camminava per la strada, cominciò a credere che Domitilla11 in foto non era Giulia. Camminava, ultimamente, guardandosi attorno e cercando Giulia tra i passanti, scrutando nei finestrini delle auto o nelle vetrine dei negozi. La reale immagine di Giulia era un problema non da poco, perché avrebbe voluto davvero incontrarla e Alberto credeva nella casualità delle cose, credeva di incontrarla per puro fato: in chat non la trovava più e stentava ancora a credere al fatto che quella tipa aveva conosciuto il figlio di Mike. E se era una frottola pure quella?
Avrebbe detto tutto a Tommaso.

lunedì 4 luglio 2011

12

Aveva notato che tutti tendevano ad essere più allegri quando si era in chat, con molti punti esclamativi, con i puntini di sospensione, con i punti interrogativi che erano sempre più di due. Certe volte si perdeva il senso della domanda.
Alberto non era mai stato fortunato con la tecnologia né con i pc: pensò alla perdita di segnale della connessione internet. Ma no.
Giulia c'era, finalmente.
Riformulò di nuovo la domanda:
<Che idea ti sei fatta sul fatto di Mike?>
Eppure passò dell'altro tempo e continuava a non ricevere nessuna risposta.
<In che senso?>
<Appunto, se ha senso...>
<Ah>
Si stava arrabbiando. Eppure per certi aspetti, le era sembrata una ragazza tanto intelligente, se per intelligenza si intende la curiosità per le cose. Provò nuovamente:
<Che cosa riesci ad immaginare...>
<Pensavo...>
<Dai... cosa?>
<Che oggi per soldi fanno proprio di tutto!>
<Se è per questo andiamo pure a lavorare per i soldi... quindi...>
<Si?>
Ma si cosa, diceva dentro di se Alberto. Era sul punto di spegnere tutto. Aveva già voltato le spalle al computer quando il suono di un nuovo messaggio ricevuto gli attirò l'attenzione. Ma non voleva leggere. L'ennesima stupidata. Non capiscono nulla. Ma c'è sempre la curiosità di mezzo nel mondo:
<Devo dirti una cosa!>
<Sono qui...>
<Sai, ho conosciuto il figlio di Mike...>
Alberto lesse di nuovo.
<Non ci credo!>
<Dico veramente>
<No tu mi prendi in giro>
<E perché dovrei...>
<Perché una volta mi hai detto che parlo sempre di cose strane. E adesso mi prendi in giro>
<Io invece ti trovo interessante>
<Grazie...>
Ma il cursore s'era fermato di nuovo in un lampeggio perenne. S'incazzava perché doveva essere sempre lui a rompere il silenzio. Vabbè, donne. Ma la gente sta sempre impegnata a fare qualcosa, che ne sai, magari mentre parla con te guarda pure la televisione.
<Lo vedi che mi prendi in giro?>
<Ma perché!!!>
<E... non mi rispondi! Mi dicevi, su Mike...>
<Ho conosciuto suo figlio>
<Quando?>
<Sabato scorso>
<E c' hai parlato?>
<Si!>
<E che ti ha detto e come... come!>
<Niente di che. Eravamo io e un gruppo di amici. Siamo andati a Milano in un localino e poi abbiamo saputo che c'era il figlio di Mike. Insomma me l'hanno presentato ed è stato nel tavolo al fianco al nostro. È stato un caso...>
<E tu l'hai conosciuto. C'hai parlato, insomma?>
<Un po'...>
<E che diceva?>
<Solo qualche convenevole, però sentivo qualcosa. Stava tutto allegro e spumeggiante! Praticamente poi ha iniziato a dire a voce alta che c'era un suo amico stronzo che lo prendeva in giro per la storia della salma>
<Ma no...>
<Il fatto è che pure lui lo diceva per scherzo... che ne so...>
<Lui, il figlio di Mike?>
<Si>
<Cavolo... hai visto il figlio di Mike e non sei riuscita a dirmi che idea ti sei fatta sul fatto della salma!>
<Mi sembrano due cose diverse. No?>
<Già... povero Mike>
<...>
<Senti, non ci credo. Praticamente beffeggiava la salma del padre?>
<Si ma... era una cosa per scherzo... di allegria...>
<Povero Mike>

lunedì 27 giugno 2011

11

È tutto mediato dallo schermo, dalla distanza, dal non sapere chi è l’altro, dal non dover per forza subire una presenza fisica.
Con Alberto è andata così. In un'altra occasione quel commento non l’avrebbe certo interessata <in pochi sanno che Mike Bongiorno fu un partigiano>. Infatti non lo sa nessuno o quasi. La pagina del forum era iniziata con la vignetta di non so chi sul fatto della scomparsa della salma di Mike con tre bare e la didascalia che faceva sceglie la uno la due o la tre – e non sentitevi stupidi se la e di tre vi viene da leggerla aperta come diceva lui – e Alberto aveva messo lì questo commento, <in pochi sanno che Mike Bongiorno fu un partigiano>. Che a leggerlo così due posso essere le reazioni. Forse tre. Ma poco importa quello che agli altri abbia portato a pensare. L’importante ora è quello che Giulia abbia pensato. Chiaramente Giulia era interessata alla cosa. Mi pare evidente. Sulla prima rimase stupita. Voleva essere un monito morale quello di Alberto? E a che pro poi? Certo non avrebbe sensibilizzato gli utenti del forum. Questo è poco ma è sicuro. Vero è anche che nessuno rispose a quel post. Lei gli mandò, due giorni dopo, dopo averci pensato e ripensato, un messaggio privato: <Io lo sapevo>. E Alberto quasi subito le rispose <Tu che idea ti sei fatta di tutto quello che è successo con Mike>. Giulia ebbe la sensazione di una domanda pura, pulita, come quella che potrebbe venire da un bambino che chiede cose imbarazzanti a un adulto. E lì per lì si strinse le gambe al petto e da fuori sembrava stare ancora più scomoda su quella sedia. Non tanto per la domanda in sé per sé, ma per l’intonazione che s’era immaginata in testa nel leggerla.

lunedì 20 giugno 2011

10


A vederle da fuori le vite degli altri sembrano un po’ tutte uguali. E probabilmente anche dal di dentro. Anche se poi quelle degli altri, per qualche motivo, a pensarci bene uno poi non è che se ne capacita, sembrano migliori della propria. E a vederla davanti a quel pc si avevano proprio queste impressioni. La felpa grigia comoda, la tuta, quel mettersi in posizioni improbabili sulla sedia. A vederla così si direbbe che stia tremendamente scomoda. E invece no. Lei non sta scomoda. Anzi. I piedi che non stanno un attimo fermi, come in un balletto di un video di quel pezzo che fa: aserere a sere ne sere su ne sere tu de gebere sebinova ecc ecc. Mi pare si intitoli Ketchup song – Dio abbia in gloria google. E a vederla così è una come tante. Né bella né brutta. Né simpatica né antipatica. Né ricca né povera. Una come tanti, come tutti insomma. L’unica cosa che aveva di particolare era un occhio chiaro e uno scuro. Come i cani. Giulia non è brutta, ripeto. Una come tante, ma comunque fatta bene, il labbro superiore, forse, un po’ troppo sottile, forse. Le mani, belle. Fondamentalmente piacevole nelle conversazioni. Insoddisfatta del rapporto con il moroso. Ma allo stesso tempo coinvolta. Coinvolta a tal punto di farsi trascinare in questa cosa pazzesca. Un po’ come Alberto con Tommaso. Alberto per Tommaso si sta interessando alla vicenda Mike. E lo stesso fa Giulia con le cose di Luca. Che poi diciamoci la verità, Luca a vederlo così non sembra proprio un tipo magnetico. Sembra più un freakettone figlio di papà che si ritrova a lavorare al comune. A parte l’essere mezzo freakettone, tutto il resto non c’entra niente. Però aveva le idee ben chiare su certe cose e quando ne parla gli si illuminavano gli occhi. Erano un po’ una di quelle coppie che si vedono negli sceneggiati sugli anni settanta, sulle BR o robe del genere, dove due che stanno insieme non hanno una vera e propria relazione fatta di sesso e/o sentimenti vari, ma stanno insieme più per un’idea comune, uno scopo, una fantomatica causa. Lei all’inizio rimase affascinata dai suoi silenzi. Oggi quando ci ripensa non riesce a capire bene il perché oggi si ritrovi a essere la sua ragazza. Che poi non fanno nulla di quello che una coppia nella norma fa. Ma forse sono io, narratore onnisciente, a essere stato influenzato troppo da certe cose viste in tv. Che poi nonostante domani mattina l’aspetti la solita sveglia per andare al lavoro, resta ancora a navigare. Che poi è proprio un controsenso: navigare in rete. E sta lì, tra momenti di pausa stagnante e altri di iperattività sui tasti. Questo conoscersi senza sapere chi è l’altro, senza vedersi, senza doversi preoccupare quasi di nulla. Questo avere diverse finestre aperte sulle varie community, sui diversi forum e chat, riesce a essere un’altra se stessa in parallelo. Un po’ come in Fight Club con i gruppi di sostegno che aiutavano Edward Norton a dormire. Ogni volta che ha un interesse nuovo va in rete e cerca altri che possano esserne appassionati. Che duri a lungo o solo due giorni poco importa. Per il tempo che dura lei si quasi annienta davanti allo schermo per questa o, piuttosto, quella cosa.
Ora, per motivi che non sto qui a dire, ha preso a frequentare quei forum dove fanno domande veramente idiote. Del tipo qualcuno sa dirmi qual’è... con di seguito cose allucinanti. Il fatto di essere nella maggior parte dei casi poco attiva in questi forum è dovuto soprattutto alla propria natura di osservatrice. Lei si mette lì è acquisisce informazioni e poi elabora teorie proprie. E anche qui poi non si spiega come invece con alcuni utenti alla fine entri in un contatto. Una misantropa convinta – diciamo che poi lavorare come cassiera alla COOP non è che l’abbia aiutata molto ad avere un’idea più positiva verso il prossimo – che in certe situazioni sente un'urgenza incontrollabile di avere un contatto umano.

lunedì 13 giugno 2011

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Quando le coperte che si hanno addosso iniziano ad attaccarsi sopra c'è poco da fare perché da custodia diventano trappola. 
Ad Alberto la luce del giorno riusciva ormai a ferirgli gli occhi. Li sentiva pesanti come i cancelli che li attendevano all'ingresso. Aveva paura che gli stesse accadendo qualcosa, problemi di salute, qualcosa di reale, di vero, perché era strano che, anche se la notte non aveva dormito, girando gli occhi, sentiva ancora dentro qualcosa simile alla sabbia, come ad avere gli occhi feriti da piccoli spilli.
Alberto si chiedeva se la stessa cosa era mai potuta accadere a Tommaso o se gli era accaduta negli ultimi tempi. Infatti avrebbe voluto rispondere alla domanda dell'amico con la sua uguale domanda: ma che hai fatto? E invece, come per tante altre cose, in quella solita pausa pranzo tra il caffè e lo zucchero, non c'era riuscito: si chiedeva le cose, le intuiva e non le esponeva: ma era chiaro che Tommaso, quel giorno, aveva una faccia troppo sciatta, troppo strana per uno che aveva sempre gli occhi straripanti e vitali, indaffarati e vigili come quelli degli animali di fronte alla presenza umana. Pronti a reagire, pronti anche a fuggire.
C'era tempo per i cancelli. Mancava ancora un isolato per raggiungere il posto di lavoro, c'era tempo: Tommaso era stato di poche parole e già questo, di per sé, era il segno di una nottataccia o di una nota cattiva nel cuore.
Alberto approfittò del tempo pigro per fumare un'altra sigaretta, in verità si vergognava di fumarne una dietro l'altra. Arrivò quasi vicino ai cancelli d'ingresso e gli venne spontaneo nasconderla con la mano: l'avesse visto Tommaso cosa avrebbe pensato di lui? Ma sapeva anche che di lì Tommaso non sarebbe mai passato.
Era stanco, semplicemente stanco. Si autogiustificava.
Sostò per un po' sulla panchina del Blasco, chiamata così perché tanto era imbrattata con i vecchi inni dei primi anni '90 (quando era colpa d'Alfredo). Fumava in piedi, con la gamba destra sopra al piano. Lì, tanto, nessuno si sedeva più da almeno dieci anni: era solo una panchina completamente arrugginita e che una volta era stata di quelle verdi, di metallo, lucide, magari utili solo d'estate perché d'inverno si rischiava di rimanere col sedere incollato per sempre, tanta era infelice la reazione del freddo gelido con la carne e con il ferro. Ed era rimasta lì, oramai fuori luogo, superstite di un piccolo e poco convincente parco giochi (lo ricordava) smantellato dopo la costruzione dei nuovi prefabbricati agli inizi del nuovo millennio. Il tabacco gli sembrava strano e le palpebre le sentiva pesantissime. Il pensiero del lavoro imminente gli gravava davvero.
La notte precedente, per molto tempo, era stato tra le lenzuola con gli occhi aperti, immobile, sopportando a fatica il suo stesso corpo tanto che aveva guardato con sgomento le prime luci dell'alba sopraggiungere, per nulla timidamente, da uno spiraglio della finestra.
Era stanco, semplicemente stanco.
Nella notte passata si era sentito come un animale in gabbia, in una recinzione senza nessun conforto. Parecchio era rimasto immobile di fronte al monitor del computer acceso sentendosi svuotato di pensieri come quando si ha un grave senso di colpa addosso. Finché gli occhi gli scesero in basso, verso le orribili mattonelle del pavimento. Erano quelle che aveva scelto sua madre per la sua cameretta quando era bambino, con strani rombi arancioni che inducevano già alla paranoia. Anche lei, in fondo, non era mai stata una persona armoniosa. Allora, dal computer, passò sul letto, nel chiarore sommerso del monitor, e quelle forme piramidali arancioni gli delinearono un pensiero: forse sua madre non l'aveva mai conosciuta veramente, forse l'aveva sempre circoscritta a quelle orribili forme delle mattonelle che aveva scelto per lui. Era stata soltanto una figura schematica e di un brutto colore.
Ora, con gli occhi che gli dolevano, si lasciò andare sulla vecchia panchina, curiosando un po' tra le scritte sbiadite: esse apparivano e avevano lo stesso tono di Domitilla11, una tale della chat. Solo un nick name con una foto, piccola, dal viso imbronciato, gli occhi un po' persi, il capo chino da un lato, con quei capelli ricci svirgolati in aria, le ginocchia scoperte dagli jeans strappati, una maglietta estiva scolorita, un ciondolo di plastica al collo. Era convinto: si trattava di una immagine degli anni '90.
Anche lei non era nulla se non Domitilla11. Si era sempre interrogato sulla sua identità soprattutto quando quei dialoghi della chat, tanto avari di parole, risultavano essere tanto sinceri, quindi reali, come sgorgati d'un getto solo. Non era nulla, eppure con lei riusciva a trovare quel legame artificiale e allo stesso tempo non artificioso e ciò accadeva proprio nei momenti peggiori: quelli della notte, quelli dei pensieri più ombrosi.
Prima di gettarsi tra le lenzuola in prossimità delle luci dell'alba, quel nick name l'aveva aiutato in modo opportuno rispettando i tempi: Domitlla11 era sempre il tempo adeguato e mai quello inopportuno. Aveva trovato, infatti, la lucina verde sullo schermo e il colore indicava la sua presenza, e quel segno, quella figura, era per Alberto come una partenza propizia. Non accadeva sempre di trovarla accesa.
Intanto, in direzione opposta della panchina, un collega barbuto che lavorava con lui salutò simpaticamente.
“Arrivo”, gli rispose Alberto.
Però era proprio la serata partita a male: non aveva trovato in rete ulteriori informazioni sulla salma di Mike. Così, Alberto, cercava giustificazione alla sua insonnia criminale; così aveva iniziato a gironzolare dentro la stanza come una trottola impazzita perché gli mancavano le notizie opportune che cercava. Sapeva che non era quello il modo di cercarle, per carità ma i pensieri gli erano cozzati a tal punto in testa, che per poco non si accese una sigaretta nella stanza di casa oltraggiando il patto preso con la madre, che gli aveva detto, non molti anni prima, che non doveva fumare, che la sigaretta non gli stava bene addosso, che non aveva il modo, insomma, basta che non fai impuzzolentire la casa, scemunito, così gli disse. Quando accadevano certe cose si sentiva come se avesse una trottola in testa, e sapeva che quella corrispondeva all'apice di quei fastidi in testa che Alberto cercava di spiegare senza successo. Tutto significava che era il momento di Domitilla11 perché lei, in quel momento, aveva la lucina verde accesa. Tutto qua. Aveva vagheggiato tutta la notte tra le coperte del letto e le tende della finestra, all'ombra di un soffitto lunare pensando al tempo, ai momenti, ai tempi delle cose e al tempo necessario. E Domitilla11 era opportunamente necessaria.
Per esempio Domitilla11 sapeva di Ellie. Quella immagine elettronica sapeva tutto di lui, era uno specchio dentro lo specchio, si incontravano quando i loro riflessi si incrociavano e rimanevano incrociati anche per ore. Invece, ad esempio, Tommaso di Ellie non sapeva proprio nulla.
Dal letto guardava la lucina verde accesa della chat con la foto minuta dai jeans strappati sulle ginocchia. In fondo anche Ellie era stata solo un nomignolo, il suo vero nome era Teresa ma per Alberto era stata Ellie, qualcosa di dolce, di leggero. Di una leggerezza, però, a forma di nuvola, leggera e che, proprio per questo motivo, riusciva a guardare le cose in verticale, con ironia e con profondità. Ma anche Ellie era stata solo un emblema, una nuvola, appunto. Non l'aveva mai conosciuta: non sapeva chi era Ellie. Forse proprio per questo motivo si era allontanato da lei, bruscamente. E altrettanto bruscamente si era reso conto che aveva passato giorni e giorni con una persona che non era mai riuscito a conoscere.
Dal letto guardava la lucina accesa della chat di Domitilla11, gli aveva detto che si chiamava Giulia. Poi un gradino più in basso si accese una seconda lucina verde: era Tommaso. Si alzò con un battito solo in direzione del monitor: ma giusto il tempo di un paio di click che quella di Tommaso subito si spense.
Dalla panchina il rombo di una macchina lo distrasse un attimo.
Forse Tommaso, la notte passata, gli aveva voluto parlare, una cosa che non era riuscito a fare nella pausa solita del caffè.
Arrivò un secondo rumore, più forte di quello della macchina.
Si stavano chiudendo i cancelli.