Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 17 ottobre 2011

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La prima cosa che faccio appena mi sveglio è vedere che ora sia. Non riesco a ricordare da quando è cominciata questa mia cosa, ma proprio per questo motivo mi pare che da sempre accertarmi di quello che segna l’orologio sia stata la mia prima preoccupazione appena sveglio. Ma per sveglio non intendo la mattina, intendo sempre e comunque. Che sia notte fonda, lo svenire sul divano piuttosto che svegliarmi prima della sveglia al mattino. La seconda cosa che faccio è accendere il cervello. Acceso il cervello è come se non avessi mai dormito. Subito comincio a pensare. A pensare a quello che devo fare di lì a poco, durante la giornata, poi mi torna in mente qualcosa della sera prima, del pomeriggio prima, della mattina prima. E poi di nuovo penso a quello che dovrei fare nel corso della giornata, buoni propositi, cattivi pensieri, cose che magari mi porto dietro da anni e che anche in questa giornata ancora non iniziata, rimetto in una improbabile agenda mai in linea con il GMT. Acceso il cervello penso che tra non molto incontrerò Alberto. Poi un lampo. Mi torna in mente che appena prima di aprire gli occhi stavo sognando. Sognavo di star intrattenendo una conversazione impegnativa con Giancarlo, un ragazzo più grande di me con il quale tanti anni fa uscivo. Era troppa impegnativa. E io con Giancarlo proprio non avevo voglia di parlare. Ma il discorso era veramente impegnativo. Questo mi sorprende spesso nei miei sogni: i discorsi impegnativi che riesco a fare, quegli stessi discorsi che puntualmente da sveglio evito di intrattenere. Per completare l’azione ricordo del sogno, mi appaiono anche un paio di diapositive. Fotogrammi – nel vero senso cinematografico – del sogno. E dopo le diapositive esplicative del caso torno a pensare a oggi. Gli occhi impastati, che pesano, che cercano di proteggersi dalla poca luce che si intrufola nelle persiane. E cercano di proteggersi anche dalla terza cosa che faccio appena sveglio: guardare di nuovo l’orologio. Perché in questo stato di semi coscienza, in questa summit mattutino tra me e il mio cervello, non mi rendo conto di quanto tempo sia passato. La quarta cosa che faccio è stirarmi. Scendo giù nel letto e stiro gambe e braccia. Le braccia in alto però. Facendolo, incrocio le mani e faccio scrocchiare le dita a mo’ di specchio riflesso. Contraggo i muscoli delle gambe. Piedi a martello, ginocchia estroflesse e via a contrarre. Alla coscia destra puntualmente sento nascere un crampo. E allora mollo. Ha ragione lei, dopo tutte quelle che ha passato, non mi sono mai preoccupato di recuperarla appieno. Me lo merito. La quinta cosa che faccio è prendere coraggio. Prendere coraggio perché, a un certo punto della giornata, potrei sempre pensare “ma chi cazzo me l’ha fatto fare ad alzarmi oggi”. È un pensiero che può capitare. E capita spesso. La sesta cosa è alzarmi. Copro la distanza che c’è tra la camera da letto e il bagno con un deambulare poco elegante. Immagino i primi ominidi che provavano a camminare eretti e immagino anche Frankenstein che muove i suoi primi – o sarebbe meglio dire secondi? – passi nello stupore di uno straordinario Marty Feldman. Le cose a seguire che faccio in bagno sarebbero poco eleganti da riportare. Ma il pensiero di vedere Alberto invece lo porto con me in bagno. So che mi chiederà. E che dovrò anche rispondere. Ma non ne ho assolutamente voglia. Alberto è la tipica persona che vuole spiegazioni. Alberto è la tipica persona che cerca motivazioni, i perché delle cose. Io queste risposte non ce l’ho. Lo specchio dice che il tempo passa. E io non sarò mai pronto. Per vestirmi invece sì, sono pronto. Il progetto metodico, e spesso tutt’altro che di facile attuazione, di vestirsi a cipolla in determinati periodi dell’anno è catastrofico per il mio equilibrio mentale. Ma, fregandomene altamente dell’accostamento dei colori, dell’ultimo prêt-à-porter e di quello che potrebbe pensare la mia ex, mi vesto e mi avvio. Se ci fosse il fantomatico narratore onnisciente, considererebbe che il mio farmi una sigaretta mentre cammino potrebbe avere un qualcosa di westerniano e invece cammino così solo per non perdermi per strada tabacco, porta tabacco e pantaloni. Lo stesso narratore direbbe che l’esitare un attimo nell’avanzare per accendermi la sigaretta potrebbe ricordare i migliori film degli anni passati quando in tutti i film si fumavano sigarette in ogni dove in quantità esagerate. Si soffermerebbe nel modo in cui schermo la fiamma per dare fuoco alla punta della sigaretta fatta in casa. Direbbe che il proteggerla, non solo con la mano, ma con quasi tutto il corpo, sembra più un gesto d’amore che un continuare verso un tumore ai polmoni. E sempre lo stesso narratore direbbe che il fumo che fa capolino tra bocca e naso è un po’ come i pensieri del nostro. Ma diciamoci la verità: come fa questo benedetto narratore onnisciente a sapere tutti i cazzi miei? Certo, è onnisciente e quindi può. Ma va be', questo non so proprio come mi sia venuto in mente.

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