Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 12 dicembre 2011

25

Con lo sprovveduto tappo di una penna bic malcapitato sul bancone, Tommaso giocava con la sua barba proprio come può fare un cane quando si gratta. E lo faceva peggio, perché un animale lo fa in una maniera del tutto spontanea: Tommaso si raschiava la guancia con un mordente e con una concentrazione incomparabile, innaturale, proprio mentre ascoltava il gruppo che non conosceva ma che erano bravi, ripeteva. Alberto, invece, aveva lo sgabello rivolto verso la porta d'ingresso e, in tal posizione, qualcuno avrebbe potuto leggere in lui una vivacità improvvisa sul suo viso quando ci fu l'arrivo di Giorgia. 

Invece non saprei dire molto del locale dove stavano trascorrendo una serata che, per Alberto, stava diventando pesante come un pezzo di piombo e per ragioni che lui non si sarebbe mai aspettato: era un locale risaputo, frequentato soprattutto da giovani studenti o giovani disoccupati. Ultimamente Tommaso si lamentava del fatto che fosse fin troppo invaso da canaglia ma nelle sue vorticose meditazioni, nelle sue giornate così tanto rivolte al pratico e all'immediato, al necessario, aveva perso di vista la sua età che, inesorabilmente, aveva superato i trenta. 
Nonostante la canaglia in circolazione, il Frizzo era un posto ben tenuto dal padrone, con bei toni di colore delle pitture interne, un curato arredamento in legno e bei quadri esposti a rotazione mensile da artisti locali; un locale per stare insieme a parlare, a bere, a fumare ma anche per stare soli per ascoltare buona musica con un po' di alcol nelle vene. E quel gruppo musicale, che i due stavano ascoltando con accesa curiosità, era una novità: in passato c'erano stati concertini, solitamente duetti o improvvisazioni a due strumenti, una volta ci fu anche un solista violoncellista. Il gruppo che suonava quella sera, invece, con il cantante giovane e dalla barba canuta e con il batterista che menava troppo, era un'anomalia della storia del Frizzo. 
Alberto era entrato lì sereno ed ora si era impiastricciato con i propri sentimenti rimanendo in ascolto con un pesante silenzio. Anche perché non aveva più neanche la voglia di sforzarsi di parlare all'orecchio di Tommaso dato il fracasso che li circondava. Pensava di andarsene senza attendere la conclusione della serata come spesso aveva già fatto. Aveva lo stomaco pieno di tristezza, o meglio, si sentiva in colpa di aver mentito su Ellie e Tommaso che, chissà come, lo aveva scoperto. Per il resto, per il fatto di Giulia, aveva detto tutta la verità a parte che era preso dalla smania dolcissima di rincontrare quella ragazza, quella che non gli aveva neanche detto che lei era così, come proprio si vedeva in foto. E la cosa che più lo aveva colpito di lei era il senso di insoddisfazione che si portava addosso, in parte involontariamente, ma che le permetteva un'apertura di spirito notevole. Con lei si poteva parlare di tutto e tutto poteva essere messo in discussione. 
Un rotolo di pensieri in continuo svolgimento che fu fermato dall'ingresso di Giorgia nel locale e da un altro inconveniente inaspettato. 
Inizialmente Tommaso rimase in disparte ma lei con ostentata sicurezza si avvicinò. Alberto, di fianco, si limitò ad un cenno di saluto e a un sorriso (data la confusione e la sua svogliatezza improvvisa non riuscì in altro) come per dire che lui non c'entrava nulla tra lei e Tommaso e che era semplicemente amico a tutti e due. Tommaso, invece, si ostinava a non salutarla né a guardarla in faccia, con l'unica nota d'ansia visibile nel fatto che beveva più avidamente dal bicchiere. Vista la scena, o la scenata, Giorgia lanciò un'occhiata ad Alberto come per dire cosa devo fare finché si mise a preparare una sigaretta, la porse a Tommaso a mo' di invito per uscire fuori a fumare. Vedendo che Tommaso si era alzato in direzione della porta, Alberto tirò un sospiro di sollievo: i due stavano uscendo insieme, nonostante il passo svogliato di Tommaso non promettesse nulla di buono. 


Because the night – Patti smith 
Cosa farei con la salma di Mike – The Mansarda Sessions 
I wanna be your dog – The Stooges 


L'inconveniente positivo e inaspettato arrivò da lì a cinque minuti quando il cantante del gruppo, per la prima volta dall'inizio della scaletta – playlist, si mise a parlare e a presentare una canzone scritta in occasione di un avvenimento che aveva destato in loro una interrogativa curiosità: il trafugamento della salma di Mike.



lunedì 5 dicembre 2011

24


  – Comunque so' bravi questi che suonano – – ma tu li conosci? – – da dove saltano fuori non lo so, però sono bravi – – va be' fanno cover – – e che significa? E comunque le fanno bene, la scaletta fa paura – – forse apprezzo più la musica originale – – ecco qua, che non lo sapevo io. Adesso ritira fuori il discorso che è meglio la musica italiana. Vasco volentieri, però... – – no, è che io preferisco sentire le parole in italiano, per capirle – – senti ma che devi capire, anche se non capisci, la lingua, la canzone e la melodia delle parole diventano cosa tua, parlano a te stesso. Non hai mai capito questa cosa – – ho capito, però preferisco il testo italiano, posso valutare meglio... – – la musica si ascolta in verticale e non si valuta. Che vuoi valutare? – – se è buona o no, di qualità, s'intende – – devi guardare a quale scopo è stata fatta quella musica, è un'arte che si presta a molteplici scopi, è chiaro che una musica fatta per uno scopo specifico può essere valutata per il fatto di essere riuscita o no nell'obiettivo – – senti io non la penso proprio così, la musica deve rappresentare qualcosa – – appunto, può rappresentare qualcosa. E chi suona, con l'intenzione di rappresentare qualcosa, intende raggiungere un obiettivo. Nel caso migliore di dire qualcosa di più. Che poi questo sia rivolto al bene o al male a noi non interessa – – bo', però le ragazze che suonano il basso mi fanno sempre impressione – – a me fanno impressione quelle con il cazzo… Senti, ti va di parlarmi di questa Giulia? – – ma veramente non tanto – – lo so. Lo so non ti piace parlare con me delle ragazze. Ma era uno cosa così, per ragionare, per parlare – – nulla di rilevante. È una tipa – – e che tipa è?  – – però è vero, anche di Ellie non mi hai mai chiesto niente e ora mi chiedi di questa Giulia – – e chiamala Teresa, cazzo – – e ancora, sì Teresa – – guarda l'ho vista una volta con te e mi è bastata – – non ti piaceva, come persona – – no, forse – – si ma alla fine che... – – ti dico: non mi aveva fatto una buona impressione. Era troppo morta, flemmatica, con quegli occhioni tutti sproporzionati alla faccia troppo esile. Dai, era un fuscello. Comunque non mi sembrava una tipa cattiva però aveva un non so che di decadente, di quelle ragazze mezze dark che ti vogliono sempre nascondere qualcosa o per gioco o per davvero – – ho capito – – ma non ha importanza, anzi non avrei dovuto esprimere un giudizio su Teresa. Nel senso, non esiste una donna non cattiva. Non parlavo di sembianze fisiche, se belle o brutte, per me le ragazze di chi conosco sono neutre ma quella strana esilità di Teresa nascondeva qualcosa che non mi piaceva, che non doveva fare al caso tuo. Va be' ma dimmi di Giulia! – – si però beviamoci 'sta birra – – quindi l'avevi trovata via chat quando uscì il fattaccio di Mike se non ricordo male – – eh, si – – dimmi allora, poi? – – poi... questa estate sono andato a Trento... – – mamma mia, mi pare di tirarti fuori le cose con le pinze – – si. Mi ti metti davanti come un poliziotto – – ok – – praticamente quest' estate mi sono incontrata con lei a Trento perché vive qui, studia qui, e poi torna a Trento dove c'è la mamma – – ho capito, a Trento. Io non ci sarei andato proprio – – ma stavo in ferie e lei mi ha invitato a passare una domenica... per conoscersi. Solo che io, poi, ci sono rimasto una settimana – – a Trento – – eh no? – – e vi siete visti anche in quella settimana – – si in tutto tre quattro volte – – scusa ma lei rimaneva a casa e tu andavi in giro da solo per Trento come un coglione? Bo'... – – lo sai che dentro casa mia non riesco più a starci, tanto che stavo lì sono rimasto perché lei conosceva una signora che affittava camere anche per una sola settimana e me ne sono andato in giro per il Trentino... – – cioè non era una bed e breakfast, 'sta cosa suona strana ––  va be' non te la faccio lunga, non si trovava un posto libero e alla fine, la sera, l'ho richiamata – – Giulia – – si, per spiegarle che mi sarebbe piaciuto rimanere ma che non trovavo una camera libera, che la città mi piaceva e che volevo farmi un giro da solo – – come un coglione – – e ancora! – – dai scherzavo, continua... – – e così è uscita di nuovo in città e mi ha portato in questa affittacamere, una signora –– ed è finita qua – – no – – poi lei mi ha chiesto se avevo voglia di mangiare una pizza – – e allora era evidente... – – no ma che... non pensare subito a male. è una tipa a posto –– si, si – – mi ha detto che è la prima volta che esce con una persona incontrata in chat e la stessa cosa vale anche per me, lo sai – – eh, lo so. Diciamo che mi fido – – poi un giorno siamo andati sul Bondone... – – sul che? – – è la montagna di Trento – – ah – – e la sera siamo andati a mangiare una pizza. Porca miseria erano anni che non mi divertivo così – – divertimento? – – va be', sono stato bene con lei, a parte la pizza in un ristorante indiano che non  era granché – – beato te che hai il coraggio di mangiare una pizza da un indiano in Trentino – – e poi ci siamo rincontrati per un paio di caffè in piazza – – e poi? – – non ci siamo più visti – – e quando sei ripartito neanche? – – veramente si, ma l'ho solo ringraziata per telefono – – ma sei scemo? – – perché... – – cioè vi siete dati un appuntamento via chat, siete stati più o meno insieme e poi il giorno della partenza non vi siete nemmeno salutati di persona – – forse non poteva venire – – dici... in senso cinetico? – – e dai... che so, forse non gli sono piaciuto, semplicemente – – mi stai dicendo delle fregnacce – – ma porca miseria Tomma', mi guardi come un inquisitore inviperito, perché ti dovrei mentire? – – perché in passato l'hai fatto – – ma dai... quando? – – con Teresa mi hai mentito. Ti incontravi con lei da mesi e a me dicevi che la vedevi così, da poco... – – eh – – mi dispiace ma a volte non mi infondi fiducia – – la verità è che mi sono un po' vergognato, non era una ragazza che poteva piacerti. Mi ero sentito un po' in imbarazzo – – e perché Teresa doveva o poteva piacere a me? Mah... – – ma no, non so come dire... ci sono persone che non presenteresti ai tuoi genitori, chissà cosa potrebbero pensare – – sei sempre il solito... va be' lasciamo stare, in effetti quella lì era strana forte – – si – – lasciamo perde, senti, facciamoci un'altra birra così non ci pensiamo più. La offro io – – ok– – ascolta, invece, com'è 'sta Giulia di Trento? Di Mike ha detto qualcosa? – – non è proprio di Trento – – ah, di dov'è è o non è non mi importa. Sei intontito? – – no – – ma porca miseria, questa fantomatica Giulia ha conosciuto il figlio di Mike! – – e si – – e io voglio sapere, lo sai – – sapere cosa? Me lo hai già detto – – è proprio vero: le stelle stanno in cielo e i sogni non lo so –

Ridere di te – Vasco Rossi
Come bambino – PGR
Shame in you – Alice in Chains

lunedì 28 novembre 2011

23

 – ma non è che con tanti che ci provano con Giorgia devo essere cervo proprio da te? – – ma che dici? Ma stai scherzando? – – ho già un mezzo appuntamento con lei comunque – – ma non ti va… – – non è che non mi va… devo parlarle ma non so bene cosa dirle. E anche sapendolo non saprei come dirglielo. – – non capisco di cosa tu stia parlando – – e lo so… non lo capisco io… figurarsi un altro… – – non ti va di uscire – – no, ma usciamo lo stesso – – ma se non ti va… – – prendi la giacca e andiamo – – dove? – – è essenziale saperlo prima di infilarsi la giacca o te lo posso dire per le scale? O magari appena scesi in strada? Oppure, se non è troppo distante, magari anche dopo cinquecento metri lasciato il portone alle spalle – – non volevo certo infastidirti così tanto – –  non mi hai infastidito. Andiamo ora – – finirò per infastidirti ancora di più, ma quel piano di cui mi parlasti prima dell’estate? – – non te ne ho più parlato perché ora mi pare una mezza cazzata e poi.. aspetta a chiudere che credo di non aver preso le chiavi! A no eccole –.
    L’androne delle scale si buttava giù in picchiata verso il portone, le tre rampe sembravano volerti inghiottire. Anzi, due rampe e mezzo, visto che una era composta solo da qualche scalino per infrangersi su un piccolo pianerottolo che aveva una porticina cieca sul lato più corto. Il passamano di legno, l’inferriata di ferro, con i ricci alle estremità delle barre messe un po’ inclinate, sdraiate quasi. Gli scalini di marmo bianco consumati dai tanti passaggi  e oramai poroso. Tutto vecchio, tutto bohémien – direbbe qualche bohémien. – e poi vedi, io non so bene cosa devo fare con lei. Mi rendo conto che  è colpa mia, che non sono capace di far funzionare i rapporti. Ma poi mi domando che cazzo posso fare per farlo funzionare – – ah non dirlo a me – – che poi non riesco a capire lee. Ma io ho un solo paio di scarpe, sarò complicato, ma ho un solo paio di scarpe – – e questo che c’entra? – – che sono un semplice in fondo, o, che almeno, si accontenta di cose semplici. Tira un po’ più forte che con l’ultima pioggia il legno si è un po’ viziato e fa fatica ad aprirsi –. 
    Scesi in strada Alberto aspettò che Tommaso prendesse una direzione. All’inizio camminavano distanti l’uno dall’altro, come se i loro pensieri li tenesse lontani. Uno da una parte, lungo il muro illuminato da una lampada gialla, e l’altro lungo l’altro muro. Dalle finestre sopra di loro usciva rumore di tv. A mano a mano che scendevano per il vicolo si avvicinavano. Ora, divisi solo dalle loro camminate non proprio da fotomodelli, ripresero a parlare – ma quindi tu non vuoi più vederla? – – se ti dicessi che non voglio più vederla ti mentirei, se ti dicessi che non ci penso a chiudere ti mentirei. Ho una guerra in testa. Ma sono io che sono fatto sbagliato – – io penso a Ellie molto spesso – – e chiamala Teresa cazzo – – il risultato non cambia poi molto. Non so perché ancora ci penso e in fondo mi manca. Ma sono stato io a chiudere – – coglioni si nasce, te l’ho sempre detto – – già – – ma poi penso che è solo una questione di chimica e un po’ mi conforta – – già – – però, d’altra parte, mi anche rattrista un po’ perché leva tutta la magia che crediamo di vivere – – già – – ma che ti si è incantato il disco? – – già – – pirla – – già – – mi era venuto in mente di parlare con il figlio di Mike – – e per dirgli cosa? – – non lo so, ma magari potevamo parlarci – – ho capito ma per dirgli cosa? – – non lo so – – diciamoci la verità Tomma’: tu non sai un cazzo. E di Giorgia non lo sai, e che vuoi dire a questo non lo sai, il piano non ce l’hai… – – già – lo interrompe Tommaso.
    Arrivati nella piccola piazza quasi quadrata, l’attraversano e si dirigono verso il terzo vicolo. Le mani in tasca che cercano l’accendino che con la sua fiamma non fa nessuna differenza intorno, all’inizio di questo vicolo, visto che il lampione spara tanta luce. – Secondo me tra un po’ dovrà succedere qualcosa. Non è possibile che dopo tutto questo tempo ancora non si sia mosso nulla. È quasi un anno cazzo – – era fine gennaio – – appunto, quasi un anno e ancora niente. Certo non voglio fare la fine dei due che hanno condannato giorni fa per tentata estorsione – – chi? – – che andarono dalla famiglia dicendo che erano in grado di fargli riavere la bara – – ah già. Li hanno condannati? – – uno sì, l’altro a giorni. L’hai vista questa? – – cos’è? – – l’articolo della bara con l’antifurto chiamata MIKE – – si si, vista. Da non crederci. Povero Mike. Ti squilla il telefono – – sarà Giorgia. Infatti. Tanto siamo quasi arrivati. Senti, ti va di parlarmi di questa Giulia? – 

Per combattere l’acne – Le Luci della Centrale Elettrica
La Distanza – Paolo Benvegnù
In amore con tutti – Tre Allegri Ragazzi Morti
Just like honey – The Jesus and Mary Chain
Luna - Verdena

lunedì 21 novembre 2011

22

Si erano un po' interrogati sulla faccenda da quando Giorgia aveva fatto notare a tutti e due la loro fissazione per Mike, cosa non nuova ma questa volta lo fece in un modo che Tommaso successivamente lo definì stupido e offensivo. Furono accusati di essere dei bambini. Alberto non diede affatto peso a quella discussione perché nel tono di Giorgia non aveva udito nulla di cattivo. Invece per Tommaso non era stato così e con lei manteneva un clima teso, addirittura di sospetto e Alberto non capiva ancora quale parola di Giorgia avesse così tanto perturbato l'animo di Tommaso.
Si erano accordati per una cena frugale per poi rimanere a guardare un vecchio concerto sul computer: San Siro 10 – 07 – 1990.
Il pentolame giaceva ancora nel piccolo tavolo con nell'aria un fumo stantio di sigaretta.
Alfredo aveva sempre accomunato i due. Netti motivi, in realtà, non ce n'erano ma c'era la convinzione dell'importanza, del valore, ovvero di una vera virtù: quella di saper spiegare le cose con due parole o meglio ancora il riuscire ad aprire un mondo nuovo con una sola frase composta.
E così guardavano il video un po' distrattamente, scene e sceneggiate imparate a memoria. Eppure il monosillabo eh di Vasco era davvero un alto grado di concentrazione di cataste di volumi sul malessere di una generazione. E sul tema di Mike non stava accadendo questo e non era neanche quell'improvvisa voglia che si ha di conoscere tutto di un qualcosa in particolare; più che altro, i due, stavano cercando di ritrovare nel fatto di Mike una regola generale e ciò non significava affatto fissarsi sul particolare. Alfredo è una regola generale: quando si fanno tutti i progetti e arriva il particolare della sfortuna che lascia con le 49 lire in mano senza poter giungere alle 50 necessarie. Colpa d'Alfredo, dunque. E così diceva Tommaso mentre era costretto a glissare il video per far spazio, sullo schermo, ai soliti messaggi. Non si sa mai, diceva, è sempre meglio stare in gioco. A riguardo, spesso, anche Alberto era d'accordo.
-Si ma allora andiamo... una birra? Si o no? E poi spero di incontrare Giorgia--Faccio prima i piatti—lascia stare e lasciali stare in pace i piatti. Li farò io—Senti Tomma'...--dimmi--poi, quel piano che mi dicevi?--
Non ottenne risposta.
Alberto capì che non era il momento, anche perché aveva visto come, Tommaso, al pronunciamento di Giorgia, aveva avuto una percepibile esitazione, di quella che si ha quando si è contornati dalla noia.

lunedì 14 novembre 2011

21


Probabilmente non si farà onore a Tommaso e Alberto, ma questo tipo di discorsi sono perfetti per rimanere lontano dalla realtà. Le loro realtà intendo. Prendete Tommaso. Che cosa spera di ricavarne da tanto accanimento verso una vicenda improbabile e a tratti inverosimile. Così come Alberto. Certo, lui ha molto altro per la testa. Prendete le storie/non storie con Ellie e con Giulia. Lui sì che ha ragioni per cercare di pensare ad altro. Prendete, per esempio, la copertina di Colpa d’Alfredo. Quella con la foto sulla nuca di Vasco – il Vasco che anche i sessantenni conoscono, non quello contemporaneo dell’élite indie. Il volto guarda altrove. Starà dando le spalle a chi lo guarda. Se ne fregherà di chi gli è dietro. O forse vuole solo non guardare. Non vedere. Non sapere. Ora, non vorrei infognarmi in una disquisizione su un brano musicale come all’inizio de Le Iene, ma Colpa d’Alfredo è un pezzo sottovalutato. Qui non si parla di Madonna e se si riferisse a una fava enorme o parlasse di una ragazza vulnerabile. Ma si parla di Alfredo. Vista così sembrerebbe la tipica canzone che racconta una storia. Ultimamente ce le siamo un po’ dimenticate questo tipo di canzoni e siamo un po’ più assuefatti da quelle che parlano per immagini. Disabituati ai campi lunghi e abbiamo più familiarità con i videoclip insomma. A un primo ascolto, dicevamo, Colpa d’Alfredo racconta la storia di un tipo che vede andare via la tipa su cui ha messo gli occhi con un altro. Lui è un negro. Lei una troia. Già qui si metterebbero in chiaro due cose che caratterizzano i due. In maniera alquanto negativa sembrerebbe. Invece lui, il tipo che è rimasto solo e guarda lei e l’altro andare via, è uno che c’è rimasto male e che dà la colpa al destino che si personifica nel fatidico Alfredo. Lui, sta dalla parte dei giusti, dei buoni, degli onesti e l’unica cosa certa è che la colpa è di Alfredo. Questo a grandi linee. Povero Alfredo. Tralasciamo l’acquisto dell’auto e dell’improbabile asse Modena – USA. Alfredo in fondo chi è? Alfredo siamo noi. Ma è anche gli altri. Noi che inveiamo contro noi stessi e ci usiamo come scusante. Chi racconta la storia in fondo è un mezzo disadattato. Come Alberto e Tommaso. Loro danno la colpa al mondo per tante, troppe cose. Sono consapevoli che non può essere però sempre così, e questa seria consapevolezza li fa sentire ancora più colpevoli nella loro inadeguatezza, nella loro mancanza di iniziativa e di prontezza, nella loro ingenuità e faciloneria di sognatori. Tra di loro sono molto più simili di quanto Alberto possa immaginare. Per un semplice fatto: sono essere umani. Così unici come tutti e perciò così uguali. Cambiano nomi, città, situazioni, ma, poi, alla fine è tutto molto, molto simile. Alberto fermo in mezzo, tra la dolcezza dell’amore di Ellie e l’essere fascinato dall’ignoto rappresentato da Giulia. Va bene, con Ellie non si sente da un po’, ma lui la sentiva come un pensiero che faceva parte del suo tessuto cutaneo e che trasudava senza controllo. Tommaso sempre turbato dalle vicissitudini con Giorgia e, nonostante le sia legato profondamente, non riesce a far funzionare la loro storia. E Mike è la loro piccola isola felice. Dove poter stare ad arrovellarsi il cervello con mille congetture e con tutti i se e i ma che non fanno male a nessuno. Soprattutto non fanno male alle persone che gli stanno accanto e possono mettere da parte per un po’ il loro Alfredo. Colpa d’Alfredo potrebbe essere il manifesto del loro vivere insieme, della loro morbosa ricerca di altro, del non volersi rassegnare a un certo andare avanti delle cose pur essendone succubi. Colpevolmente succubi. 




lunedì 7 novembre 2011

20


-Ecco la lettera di ringraziamento, ci tenevo a fartela leggere—non ne ero a conoscenza veramente... --eh, sei stato a Trento con le trentinozze, ci credo cavolo. Comunque... Trento... va be'--e basta con questo odio innato per il Trentino!-- Già, scusa ma è una zona che mi fa venire in mente Heidi e, niente, anzi, lasciamo perde i patetismi delle caprette che ti fanno ciao. Guarda, leggi, leggi, che tanto è cortissima—caffettino pronto—ok grazie-- si ma sediamoci al tavolino-- ok—in effetti visto che hai citato i patetismi, io la trovo proprio patetica 'sta lettera, forse un po' finta-- va be' ma è una lettera di ringraziamento, cosa ti aspettavi?--sinceramente non mi aspettavo una lettera di ringraziamento, nel senso che... non lo so... ecco, qui si ringrazia un pubblico televisivo, una massa e invece, veramente, uno ringrazia un amico, un familiare, una persona, un gruppo di persone. Qui si ringrazia una massa che è irreale, cavolo-- lo trovo un semplice gesto di cortesia-- tu dici?-- si, perché cosa c'è di irreale in una massa dal momento che è una audience o un pubblico televisivo e che è più che presente! Oh, Albè! Le pubblicità pagano oro colato per i loro passaggi. La massa e il pubblico ci sono eccome. Sono reali!—si però... non saprei... il pubblico è lì come una cosa a senso unico. È amorfo. Non c'è un vero e proprio scambio di parole o di sentimenti. Non c'è dialogo insomma-- e no: leggi qua: “Ci hanno detto: ci mancherà la sua compagnia. Quanti ce ne hanno parlato. Chi ricordava il giorno del proprio fidanzamento, e in tv c'era Mike. Chi una sera particolare, in cui aveva ricevuto una certa telefonata con una bella o brutta notizia, e in tv c'era Mike. Era uno di famiglia, ci hanno detto in tanti. Una signora ci ha fatto sorridere: ce l'avevo sempre nel tinello con me-- Si d'accordo, ho capito ma è un immaginario collettivo—però pure quando ciatti, in fondo, le cose le immagini-- Ok, ok. Si, ma c'è un colloquio, c'è un dialogo scritto. Dai... un botta e risposta! La chat non è finta, è virtuale nel senso che manca di fisicità—e invece secondo te tra le massaie casalinghe in casa e Mike non c'era nessun rapporto-- si c'era un legame ma era finto-- mmmh—lo so, non sei convinto-- no, perché il legame si è sviluppato con la sua morte e credo si sia rafforzato ancora di più con il fatto del trafugamento--
Pino, da dietro il bancone, dardeggiava occhiate curiose al discorso dei due. Anche perché avevano iniziato con un fitto mormorio e mano a mano avevano alzato sempre di più la voce. Dal retro del banco, forse un po' innervosito, Pino passò davanti ai due per dare qualche colpo di spugna alla specchiera, una applique che gli aveva regalato suo fratello Gino; un bel regalo, che faceva da quinta teatrale nella parte ovest del bar. Così, poi, con un sorriso delicato sul faccione (sempre gioioso), come quello di un bambino troppo pasciuto, afferrò le carte che Tommaso aveva lasciato sul bancone e le gettò sul tavolino.
-Perdonami Pino--certo che la gente sta fuori di testa—scusa Pino ma il tuo bar è in posizione veramente strategica, una strada proprio di passaggio. Ne passano certe che mi distraggono troppo—è vero. Anzi, ti stordiscono proprio—insomma Pino, meno male che ci sono pure le femmine brutte che sennò eravamo perduti—Ah! Questa è buona, la dico a Gino! No, dicevo che la gente sta fuori di cervello nel senso che anche io avevo sentito della salma--
Quindi si allontanò dai tavoli.
-Ecco Albè, quello che volevo dirti è che c'è differenza tra virtuale e finto. Secondo me questa qua è una cosa veramente finta, cioè il fatto che la moglie di Mike, la Zuccoli, a Chi l'ha visto ha parlato di una persona scomparsa ma morta, allora di una salma scomparsa perché non si sa mai che si vedesse in giro un morto che cammina. Uno zombie, insomma—povero Mike—ma dico, perché povero, io dico poveri i familiari che non lo hanno più. Ma, cavolo, è una questione di dignità! Non è dignitoso non avere più la salma di un caro defunto così come, dignitosamente, dopo i funerali, loro hanno scritto una lettera al pubblico perché, d'altronde, avevano ricevuto dei messaggi di cordoglio dagli italiani—ma...-- no no, aspetta, secondo me sbagli a fare filosofia su un fatto che non presenta problema!-- come non presenta problemi? Il fatto di Mike è un casino!!!-- Ti dicevo che non è questa lettera il problema-- allora dov'è?--la poesia di Alda Merini su Mike l'hai letta?--

mercoledì 2 novembre 2011

19

Noncurante di essere in un condominio, dal suo balcone, un signore intonava Gloria con una chitarra molto serrata. Un pezzo di Patti Smith? O di lei che faceva una cover dei... non ricordava. Tommaso lo avrebbe saputo.
Alberto guardava dalla finestra quell'uomo che urlava a squarciagola e che lasciava al vento dei capelli bianchi, lisci e lunghi: un vero reduce degli anni '60. Cosicché, mentre si accingeva a chiudere la finestra, le linee dell'orizzonte intrapesero un disegno dalle tinte opache.
Si lascio andare sul letto: sentiva come un addio dentro di sé. Ellie.
Nella mattina trascorsa aveva ben visto Tommaso invadere barbaramente il povero bancone del locale di Pino (e non solo con quel suo chiacchierio sicuro, fermo e costante) con fogli, carte e brogliacci di ogni genere. E infine Alberto gli aveva detto che Mike gli stava diventando un po' come l'esangue Ellie: un pensiero che faceva parte del suo tessuto cutaneo e che trasudava senza controllo, casualmente. È vero anche che in quell'estate trascorsa, a Mike, ci aveva pensato un po' di meno ma c'era sempre stata una legge naturale in atto, proprio come quella del sudore mentre si corre per una strada.
Item Ellie. Perché c'erano coincidenze e c'erano cronologie: era l' 8 di settembre quando ci fu il fatto di Mike (e si viziò qualcosa in quel periodo con Ellie) e il 25 gennaio 2011 ci fu il fatto del trafugamento; lo stesso 25 gennaio dell'anno precedente ci fu la prima passeggiata con Ellie al luna park e, per così dire, il primo contatto amorevole. Dunque, precisamente il 25 gennaio 2010. Diavolo, stava indagando su se stesso. Ed anche con l'amaro in bocca.
Allora la cronologia era un compromesso per comprendere meglio il tempo. Tutto qui. Ma gli si stavano chiudendo gli occhi, ed era in trappola di un anomalo torpore.
E poi Mike fu licenziato da Mediaset.
A Natale non gli arrivò il rinnovo del contratto, allora, informandosi con una telefonata, gli dissero che per carenza di fondi non era stato possibile rinnovarlo. Così, dopo più di trent'anni di lavoro, lo abbandonarono senza nemmeno salutarlo e senza neanche tanti complimenti. Sparirono tutti. E lo stesso Mike confessò a Fazio: “È un mistero”. Allora cercò di contattare il patrono Silvio Berlusconi ma senza successo poiché sempre congedato dalla solita scusa: il premier non c'era perché si trovava intrappolato da gravosi impegni istituzionali. E Mike non ha mai avuto spiegazione del suo licenziamento e non è mai più riuscito ad ottenere chiarimenti o motivazioni dal patrono quando, poi, lo stesso, ogni santa settimana, gli telefonava per sapere come stava, proprio come se fosse suo nonno. Avevano anche lo stesso parrucchiere.
Un'anima addolorata.
E Alberto ricordava bene la partecipazione di Mike alla trasmissione di Fazio quando, disperatamente e sinceramente, chiedeva al patrono di telefonargli proprio mentre si accingeva a rispondere alle varie domande del giornalista. E, così, di fronte alle telecamere, Mike implorava: “Chiamami, sono qua, perché non mi chiami? Perché non posso parlarti?”, completamente ombrato da un moto altalenante di modestia e vittimismo.
Una storia d'amore finita a male: “Ho sofferto molto”.
Io non ho mai fatto niente di finto”, aveva aggiunto amaramente: “Niente di finto: io sulla mongolfiera, per le riprese di quella pubblicità lì, ci sono salito veramente”.
Una storia d'amore finita nemmeno tanto male, perché dopo qualche tempo gli arrivò un nuovo contratto con un'altra emittente televisiva: Sky.
Imbarazzante il riferimento del suo (ex) patrono, il giorno dei funerali, al passato partigiano di Mike ché fu eretto a patriota quando è noto che Berlusconi ha da sempre sviato, in un modo o nell'altro, i festeggiamenti del 25 aprile. Non proprio come Mike, quindi, che qualche tempo prima della morte, aveva cercato di spiegare a Fazio che non aveva mai fatto niente di finto, che non aveva mai mentito: “Per carità, probabilmente morirò dicendo: assaggiate il prosciutto tal dei tali”. Una finzione che, se c'era, era innocente e di chi intendeva fare bene il proprio lavoro, con un senso di responsabilità, appunto, e per questo non si può dire di un martire.
Imbarazzante è vivere in un mondo dove fare bene il proprio lavoro non è più una normalità ma una santità.