Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 10 ottobre 2011

16


Da due anni soggiornava in quella stanza non molto distante dal centro, ariosa, con un balcone. Ai primi giorni credeva un po' alle favole: in tal senso aveva acquistato dei fiori, di quelli che vendono all'ingresso dei supermercati, che se uno ha voglia di comprare tutto li compra appena entra perché li vendono a due soldi e se invece uno è squattrinato e ha fatto il giro del supermercato e ne è uscito deluso, li acquista ugualmente (posizioni strategiche). L'idea favolosa, di abbellire di colori il balcone con i fiori, le era saltata in mente appena aveva messo piede in quella stanza. Forse perché era stato un giorno di pioggia e la camera era assai spoglia. E comunque li acquistò.
Una favola che si concluse molto presto. Dopo un po' di giorni i fiori seccarono tutti.
Troppo sole, troppa acqua, cure non regolari, chissà, e tutto andò a male. Non credeva ad una vita da favola e che potesse nascere dal nulla, tutto qui, e non credeva nemmeno alla morale in genere. Eppure per questa cosa ci piangeva dentro: ci pensava, a volte, al fatto che non era brava a tessere le cose.
Si trovava alla stazione dei treni, Giulia, con il pc aperto sulle ginocchia. Ferma con il cursore lampeggiante sul log in del suo account.
Ma nelle stazioni c'è poco da passare tempo, queste sono fatte per le attese e basta. C'erano momenti di rumore assordante e altri momenti di spontaneo silenzio in quel posto, un po' come il dialogo che aveva avuto con il Certoalberto, così lo aveva soprannominato nei suoi pensieri. Le sue parole, per quanto semplici, l'avevano colpita, più che altro, per il contesto a cui erano riferite. E si riferivano, in fondo, ad una favola.
Alberto era riuscito a trasmetterle quella sensazione che aveva sentito il primo giorno che era entrata nella sua nuova stanza; era riuscito a farle risuonare qualche armonico nascosto nella sua vita; era una persona che le aveva donato di nuovo non tanto la curiosità per le cose ma la meraviglia per le cose quando, da due anni, era semplicemente stanca delle novità. E poi, spesso, non era riuscita a trovare, in quel dialogo, le risposte alle sue domande. Un fatto che non le accadeva più da quando era stata una bambina.
In verità, confessava a se stessa che aveva una grande voglia di incontrare Alberto. Per la prima volta, da tempo, aveva come la sensazione di tradire quell'apatico moroso di Luca: l'avesse mai omaggiata con un fiore. Sempre con quei giornali sotto il braccio e con il colletto tutto attillato. Non aveva mai capito se li leggesse o no o se gli dava solo piacere di avere incollato addosso il nome di quel quotidiano. L'Unità, appunto, senza essere in grado di unirsi veramente ad una persona.
Di fronte a quelle rotaie dei treni le scappò un sorriso involontario. Forse non era stata colpa sua l'essere incapace di tessere la vita ma era stato il contesto, tutto.
Mentre era andata alla stazione col taxi, non aveva capito perché, le aveva fatto uno strano effetto notare un uomo sui trent'anni o un ragazzo cresciuto, che dir si voglia, con la maglietta dei Verdena (che fosse stato lui, Alberto, il Certoalberto) che cantavano di un malessere adolescenziale senza età anagrafica.
Giulia guardava davanti a sé: “Tavolini che sembrano aspettare altra gente, un altro momento”.

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