Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 25 aprile 2011

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I due, impazienti, sostavano con gli accendini tra le dita in attesa di accendere una sigaretta. La giornata anomala, dal sole anch'esso impaziente di uscire, aveva il troppo sole per l'inverno. Allora si spostarono nell'angolo più scoperto della strada per fumare in compagnia, al calore tiepido di un sole invernale che a dire il vero un po' preoccupava perché non rispettava il senso della stagione in corso. Non parlavano più, sostavano in silenzio e questo, forse, era soprattutto voluto da Alberto che non sopportava più quel sole fuori di stagione, brutto perché artificiale o così poteva sembrare, ché rendeva le cose troppo lucide e brillanti si, ma prive di talento. Avrebbe dovuto mettere allegria quell'improvviso sole limpido invernale, forse chissà, per chi aveva la possibilità di andare con gli sci in montagna. Guardò verso le cime e non c'era nuvola alcuna; forse chissà per chi aveva un bambino da portare al parco, per fargli prendere un po' di ossigeno. O forse queste spiegazioni le poteva dare solo Alberto, modesto discendente di una famiglia operaia. Forse, per tutti, era solo un giorno per fare i propri comodi senza la giacca, per sentirsi avvolti dalla città senza il peso delle tasche della giacca. E guardava di sghembo i lineamenti dell'amico che avevano un non so che di delicato a confronto dei suoi e gli occhi erano sempre solitamente più speranzosi dei suoi.
Poi si salutarono, dandosi appuntamento per il giorno seguente, alla stessa ora. Come sempre, lì. E Alberto si buttò tutto il peso inutile della giacca sulla spalla con ancora il sapore del caffè in bocca.
Una cosa non l'aveva detta: che aveva visto Mike in ospedale. Del rapimento aveva sentito poco prima alla radio ma non aveva detto niente a Tommaso che invece era uno sempre pronto, sempre incisivo nelle cose. Non gli aveva neanche detto che si era molto spaventato ultimamente: della vicenda di un amico di famiglia che aveva visitato in ospedale e che era morto per un male brutto; e non gli aveva neanche detto che stava tentando di lasciare le sigarette perché s'era davvero spaventato di fronte a quel letto d'ospedale; e non gli aveva neanche detto che tutta quella città gli lasciava un cuore di piombo. E in fondo erano cose scontate e inutili da dire, un po' come parlare dell'assenza delle stagioni che vanno e che tornano a seconda dei gusti settimanali, o come lamentarsi dell'incertezza del futuro o dell'incertezza delle proprie certezze. Queste erano cose che non richiedevano più discussione. Invece avrebbe potuto fare una bella figura dicendo che lui, Mike, lo aveva visto in ospedale. Lo aveva spiato da un corridoio piastrellato, da quella porta bianca rimasta socchiusa. Ma non aveva detto nemmeno questo. E lo aveva spiato finché una stridula voce lo fece impaurire e sudare copiosamente e la porta gli fu sbattuta sul naso. Un po' di tempo fa.
Avrebbe potuto fare una bella figura dicendogli che lo aveva visto, Mike, con quel busto disteso sul letto, col lenzuolo fino al collo, con gli occhi che si aprivano brevemente e a tratti, con la mano distesa sul petto, con le dita che si aggobbivano come per voler comunicare qualcosa verso qualcuno che aveva di fronte; che lo vide anche scuotere la testa lentamente, senza furia, senza fretta; che dava l'impressione di uno che non aveva paura, Mike.
Avrebbe potuto fare una bella figura ma non ci poteva essere proprio speranza: anche rivelando una simile cosa, tanto splendente e sorprendente, non sarebbe mai riuscito a rispondere alla certa domanda di Tommaso: “E tu che ci facevi lì in ospedale?”. No, non avrebbe mai potuto confessare di essere andato in ospedale, seppur tempo fa, a fare una visita di cortesia ad un amico di famiglia che tanto amico a Tommaso non era mai stato, anzi, con quel tipo lì, Tommaso, ci aveva passato proprio un sacco di guai.
Mentre camminava gli presero a venire certi fastidi in testa, anzi gli ritornarono certi fastidi che da un po' di tempo non aveva più percepito. Eppure, gli ronzarono nuovamente in testa. Forse colpa di quegli sbalzi termici, di quelle cadute di temperatura della notte e di quelle impennate improvvise di calore durante il giorno, colpa, insomma, della cara desertificazione. Colpa delle stagioni inesistenti che nulla rendono fertile. Che potrebbero farci tutti questi deserti moderni, che potrebbero farci tutte queste nuove nonstagioni, che potrebbero farci...
Così, mentre si accingeva a ripescare il cartellino dalla tasca, Alberto pensò che il disco gli si stava inceppando di nuovo. Lasciò allora perdere tutto e, tempestivamente, timbrò per il nuovo ingresso in call center.
In produzione, gli scorrevano tutte quei cavi che servivano per collegare qualcosa. Lì dentro non c'erano proprio le stagioni, c'era un tempo artificiale che comunque condizionava l'azione umana. Alberto, di questo, se ne rendeva conto, come comprendeva che per quanto artificiale fosse il tempo di quella sua postazione, essa aveva un ordine ben preciso, come quello delle stagioni. Però la sera, quando usciva, gli veniva lo sgomento perché non ricordava ciò che aveva fatto lì dentro: provava a tornare sulle ore: alle 16, alle 15, ma ricordava soltanto il momento di ingresso e il momento di uscita e a volte qualche ritornello che aveva avuto modo di sentire per radio. Le sigarette, infatti, avevano il suo aspetto positivo: ne fumava una, di getto, nell'unica pausa pomeridiana nella stanza fumatori che, a differenza dell'atrio, aveva una piccola radio di plastica che c'aveva messo lì qualche operatore forse un po' abusivamente e, comunque, da quando era entrato al lavoro, c'era sempre stata, isolata, appesa a un chiodo.
Quando quella sera uscì, e concluse le sue ore pagate, tentò di ricordare (come aveva sempre fatto) delle ore passate e ancora sentiva quel languore dell'attesa. Probabilmente aveva anche lavorato più diligentemente mentre gli erano passati sotto gli occhi i riflessi delle plastiche che aveva di fronte: mentre gli si irritavano le dita a furia di strusciarle sulla cuffia, aveva sentito la trepida attesa per lo start della pausa per andare a fumare una sigaretta e per accendere la radio nella speranza di beccare un qualche notiziario. Ma il notiziario non lo trovò in nessuna trasmissione.
L'emozione suscitata da quella strana attesa, non lo abbandonò neanche mentre camminava sul marciapiede per raggiungere la fermata del bus. Evitò anche di inseguire le ragazze carine con lo sguardo, dimenticò di comprare le sigarette, cosa grave perché sapeva che al mattino non avrebbe avuto il tempo per comprarle. Non badò nemmeno alle strattonate del bus che tanto lo infastidivano e dimenticò persino di fumare la sigaretta a mo' di aperitivo perché i suoi non volevano che lui fumasse in casa. Salì le scale del condominio quasi di corsa, sbattendo la porta alle spalle.
In fondo Mike aveva fatto parte di una televisione ancora quasi innocente, dove gentili padri di famiglia e ragazzi, figli di famiglie serene e perbene, rispondevano a delle domande di cultura generale in cerca di un montepremi, in cerca di nuovi sogni da esaudire dove tutto ruotava attorno al denaro e in cui tutto ciò si faceva per denaro, ma, questo, aveva ancora un non so che di innocente rispetto ad oggi: si vinceva un'ambita automobile con la quale si poteva andare più comodamente al mare o a fare una bella figura con la cravatta per andare a vedere l'opera o si vinceva una vacanza esotica per far divertire i propri bambini o la fidanzata. C'era poco di nero in tutto questo, per quanto posticcio e borghese ed anche sciocco e fittizio. Ma il messaggio di Mike era proprio semplice: allegria.

lunedì 18 aprile 2011

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- O porca troia! Hanno rubato la salma di Mike Bongiorno! – – ah, si, l’ho sentito prima alla radio – – e non mi dici niente? – – e non c’ho pensato a dirtelo – – «La salma di Mike Bongiorno è stata trafugata dal cimitero di Arona (Novara). Il furto durante la notte nel cimitero che si trova nella frazione di Dagnete, dove il presentatore era sepolto nella tomba di famiglia.  A denunciare l'accaduto un custode del cimitero». Oh puttana eva – – la gente sta fuori di testa – – ma che ci faranno? – – verosimilmente chiederanno un riscatto – – un rapimento da morto? Contro ogni logica del rapimento – – come contro ogni logica – – be', il rapimento si tiene in piedi solo perché altrimenti l’ostaggio viene ucciso. Se l’ostaggio è già morto che senso ha – – ma che cazzo dici? Che c’entra il rapimento ora – – come che c'entra. Per il riscatto – – ma il riscatto mica si chiede solo per un rapimento – – a me sembra un rapimento bello e buono – – io tante volte dubito delle tue facoltà intellettuali – – cioè? – – ma come te ne esci? Chiederanno un riscatto per rendere il corpo. È come il furto, che so, di un quadro o di un gioiello o... boh, una qualsiasi altra cosa. È un furto – – guarda che mica dicevo che glielo avrebbero ridato indietro vivo – – e meno male! – – quindi tu dici che c’entrano i soldi – – e certo. Non credo vorranno fare una setta con il corpo di Mike come sacra reliquia – – con Mike mi aspetto di tutto, anche da morto – – perché secondo te che ci dovrebbero fare – – non saprei. Non ho avuto tempo per pensarci. Ma non sarei così convinto che c’entrano i soldi. Potrebbero farci di tutto – – ma di tutto cosa? – – di tutto – – non lo possono certo imbalsamare a questo punto. È troppo tempo che è morto – – potrebbero farci di tutto – – ora ti si è incantato il disco – – ma scusa, se ti avessi detto la settimana scorsa che avrebbero rubato la bara con Mike dentro, tu che avresti detto? – – che era una cosa assurda – – quindi convieni con me che questa cosa ha dell’incredibile – – per una richiesta di denaro no. Lo fecero anche con Cuccia – – e chi è? – – Enrico Cuccia... il banchiere... uno dei più potenti in Italia. È morto una decina di anni fa. Due tizi si improvvisarono nel trafugare la sua bara per chiedere un riscatto. Ma furono presi subito. Che poi ha anche collegamenti con Sindona – – basta che puoi metterci Sindona in mezzo – – ma mica è colpa mia se la storia recente italiana è tutta raggomitolata su se stessa. Stanno tutti impicciati tra di loro – – quindi dici che tra qualche giorno li prendono e finisce tutto – – ma guarda... oggi è difficile fare una telefonata per chiedere un riscatto. Tra un po’ ci conteranno i peli del culo con un satellite. La vedo dura insomma – – ma Provenzano tirava avanti la baracca con i pizzini – – io dico che è un’invenzione – – come invenzione? – – ma possibile che questi andavano avanti con i foglietti come a scuola? – – così hanno detto – – e quindi che pensi ci faranno – – non lo so. È incredibile come cosa. Ci si potrebbe scrivere un libro o fare un film. E allora sarebbe verosimile, perché legittimato dalla fiction. Qui ora bisogna aspettare che succeda qualcosa invece. Prima o poi succederà qualcosa – – chissà quanto vale un Mike Bongiorno – – le opere d’arte non hanno prezzo – – hai ridetto la cazzata – – mettilo in un museo e poi vedi – – ma te l’immagini hanno in mente di resuscitarlo? – – e che è Frankestein Junior? – – si può fare!! – – sarebbe il massimo. La scelta del soggetto supererebbe la scoperta scientifica – – e poi chi meglio di lui – – be', forse Hitler – – oggi sarebbe uno stronzo qualunque anche lui – – chissà – – e che potrebbe fare? – – forse niente, ma tieni conto l’impazzimento che c’è in questo momento in giro per il mondo – – e ho capito, ma non potrebbe verificarsi un’altra volta una cosa come nel ’33 – – mah, sarà – – fatto sta che è incredibile – – la realtà supera la fantasia – – lo dicevi anche con il fronte liberazione dei nani da giardino – – ma che c’entra? – – anche lì è assurda come cosa – – ma quella non è penale. E poi non è assurda, è una cazzata e basta – – però Il favoloso mondo di Amelie ti è piaciuto – – oddio, ci stai mettendo dentro vagonate di cose che non c’entrano niente l’una con l’altra in questa storia – – forse c’è una visione d’insieme più complessa della cosa – – non ricominciare per favore – – non ricomincio, non ricomincio. Ma mi aspetto almeno una grande sorpresa da questo fatto –