Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 16 maggio 2011

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Quella volta lasciò la strada solita, tagliò per un viottolo perché aveva voglia di camminare. Ultimamente abbandonare le cose e le persone gli veniva tanto facile. Si, gli dava piacere inseguire la scia d'alcol con gli amici, però (poi) la testa gli rintronava e aveva la tremenda paura di farsi sfuggire qualcosa di inopportuno come per esempio quando era con Tommaso, con gli altri, e di dire stupidaggini. E se n'era andato all'improvviso: rispondere a questa attitudine era come spiegare il motivo del suo girovagare senza meta apparente con la sensazione di essere ferito, con la testa per aria e con i balconi di cemento armato da guardare.
Così imboccò per via del Papiro, alberata, con le panchine, con le luci ambrate arancio ed era selciata senza l'asfalto, un poco più ariosa con pacatamente distante la musica sopita del solito luna park invernale: un tratto di strada che aveva fatto pure con Ellie, quel pomeriggio di ieri l'altro. Anche con Ellie era andato via all'improvviso.
Proprio i lasciti improvvisi erano quelle cose che si spiegava soltanto con certi fastidi in testa che gli prendevano da un po' di tempo.
Una frotta di bambini vogliosi di coca cola e di zucchero filato lo intrupparono volontariamente ridendo e schiamazzando e gli facevano il verso neneneneneé passa paperino con la pipa in bocca guai a chi la tocca l'hai toccata tu esci fuori proprio tu... neneeneeeé! Nenneennneeeeeé! Gli donò un sorriso finto, tanto erano inquietanti e strafottenti quei mostriciattoli. Altrettanto i genitori, che ridevano e canzonavano come i loro figli ed erano proprio delle facce da schiaffi.
Proprio i lasciti improvvisi erano quelle cose che Alberto si spiegava con certi fastidi in testa. E a causa di tali fastidi l'aveva piantata al tavolino del drink – pub, ieri l'altro. A Tommaso riferiva le cose che Tommaso avrebbe voluto ascoltare: quella ragazza non era una ragazza con cui aveva improvvisato un primo appuntamento ma era stata una che, da quasi un anno, amava incontrarsi con lui. Era Ellie. Aveva così anche piantato Tommaso e Giorgia al tavolino del drink – pub, per carità, poco bruscamente perché non riusciva ad arrabbiarsi con loro ma con Ellie la rabbia gli era salita istintivamente. E non l'aveva più voluta ascoltare.
Sostò un momento tra l'odore dello zucchero filato: le luci al neon erano le stesse dell'inverno precedente, di quando era andato per la prima volta alle giostre del luna park con Ellie. Ed erano rimaste tante cose lì tra quelle giostrine colorate dagli elefanti viola di plastica, tra i giullari pasticciati e gli odori di zucchero e di liquirizia; che erano tornati a distanza di un anno nomade, senza per nulla sbiadire. Però, diavolo, lo zucchero filato l'avevano trasferito: adesso era nell'angolo opposto alla casa degli orrori. E non disse mai ad Ellie che lo zucchero filato non gli piaceva: lei, che quel giorno gli mormorò – aspetta Albè, ora torno – e si presentò dopo un minuto con due incredibili nuvole bianche di zucchero filato, enormi e bellissime da vedersi tra le guance di Ellie con gli occhi azzurri. Ma non gli piaceva lo zucchero delle giostre perché la mamma da sempre così gli aveva inculcato in testa: ché era fatto apposta per rovinare i denti e perché quelli erano zingari ché non si poteva mai dire e perché quelli dello zucchero filato sono di qui e sono di là e non sono granché, lascia pure stare. E invece con Ellie aveva assaporato qualcosa di nuovo, che profumava di una certa libertà.
C'era ancora l'autoscontro nell'androne centrale, quello per gli adulti, tutto luccicoso e dalla musica altissima. All'autoscontro ci giocavano sempre le coppie dei fidanzatini oppure i gruppi chiassosi degli scapolotti giovani: aveva sostato con Ellie proprio lì di fronte e lì si erano dati un segno d'intesa con gli occhi; forse da quel breve momento, Alberto, percepì che quell'autoscontro stava per siglare qualcosa di nuovo anche se la scelta di salire sulle scalette di metallo zigrinato gli saltò in mente soltanto perché aveva paura che Ellie si annoiasse con lui. Più che altro si divertirono nella scelta delle macchinine andando a fiducia dei colori per capire quella più veloce e quella più tartaruga. Ricordava che Ellie era gracile (con quei polsi sul volante) tanto che in quei giri vorticosi gli venne il terrore di farle male. Non aveva mai fatto un giro con simili impiastri di macinini e si meravigliò della violenza della loro potenza d'urto, ma gli sembrava tutto molto entusiasmante e il fiume dentro di lui andava in piena quando vedeva Ellie di sorridere, nella gioia.
Si lasciò alle spalle le luci dell'autoscontro anche perché in quel momento i battiti della cassa della musica amplificavano troppo la sua mancanza di intenti. Cercò allora di allontanarsi facendosi spazio in un corridoio tra la marmaglia che s'era creata. Una frotta di gente felice, anche, usciva dalla casa degli orrori con gli ultimi mostri che, ricordava, ti attendevano sfiorandoti proprio all'uscita con quelle dita putrefatte. È lì dentro che si erano presi per mano, lui ed Ellie, per la prima volta e molto ricordava quanto c'era voluto per raggiungere quel gesto!
Così, cosa avrebbe mai dovuto raccontare a Tommaso: non avrebbe mai potuto raccontare simili patetismi, atti di leggero sentimentalismo e sarebbe apparso soltanto, nei suoi confronti, come una persona riprovevole. Però era stato davvero un bel periodo con Ellie, e poi anche Giorgia aveva detto che Ellie era carina nonostante l'avesse incontrata quando, oramai, si trovava al momento dell'improvvisato addio. Questo era arrivato il pomeriggio di ieri l'altro.
Dopo l'istintiva corsa al luna park si accinse di ritorno a casa, con la testa fastidiosa che gli era passata.
Prima di addentrarsi nel tunnel delle bancarelle si accese una sigaretta guardando di fronte a sé quella strana calca. Non era da destare meraviglia: si trattava dell'ora del dopo cena. Allora cercò di affrettarsi il più possibile, non tanto per la fame ma perché si era dimenticato di avvertire a casa del suo ritardo e doveva prendere l'autobus. Con la sigaretta cercava di evitare i capelli delle signore impomatate, schivava le teste basse dei bambini che occupavano i margini delle bancarelle dei giocattoli, sventava i fili sospesi per l'aria dove c'erano i palloncini volanti dalle forme più improbabili. Era quasi uscito da quella spirale di gente, vedeva sullo sfondo la prospettiva dello spazio libero dell'arioso viale Papiro finché notò una cosa che nel suo ingresso precedente non aveva proprio visto: al fianco degli elefanti volanti, delle motociclette supersoniche, dei dinosauri ingrassati, dei pellicani dal becco enorme, sorrideva il faccione di Mike con la dicitura la ruota della fortuna. Sembrava stesse lì per salutarlo, all'uscita, come avevano fatto, un anno prima, i mostri – zombie della casa dell'orrore. Non gli sembrava affatto cosa carina e si fece spazio con più foga, con più forza, rimediando qualche spallata di troppo.

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