Userò la sciarpa, funzionerà

Userò la sciarpa, funzionerà

lunedì 27 giugno 2011

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È tutto mediato dallo schermo, dalla distanza, dal non sapere chi è l’altro, dal non dover per forza subire una presenza fisica.
Con Alberto è andata così. In un'altra occasione quel commento non l’avrebbe certo interessata <in pochi sanno che Mike Bongiorno fu un partigiano>. Infatti non lo sa nessuno o quasi. La pagina del forum era iniziata con la vignetta di non so chi sul fatto della scomparsa della salma di Mike con tre bare e la didascalia che faceva sceglie la uno la due o la tre – e non sentitevi stupidi se la e di tre vi viene da leggerla aperta come diceva lui – e Alberto aveva messo lì questo commento, <in pochi sanno che Mike Bongiorno fu un partigiano>. Che a leggerlo così due posso essere le reazioni. Forse tre. Ma poco importa quello che agli altri abbia portato a pensare. L’importante ora è quello che Giulia abbia pensato. Chiaramente Giulia era interessata alla cosa. Mi pare evidente. Sulla prima rimase stupita. Voleva essere un monito morale quello di Alberto? E a che pro poi? Certo non avrebbe sensibilizzato gli utenti del forum. Questo è poco ma è sicuro. Vero è anche che nessuno rispose a quel post. Lei gli mandò, due giorni dopo, dopo averci pensato e ripensato, un messaggio privato: <Io lo sapevo>. E Alberto quasi subito le rispose <Tu che idea ti sei fatta di tutto quello che è successo con Mike>. Giulia ebbe la sensazione di una domanda pura, pulita, come quella che potrebbe venire da un bambino che chiede cose imbarazzanti a un adulto. E lì per lì si strinse le gambe al petto e da fuori sembrava stare ancora più scomoda su quella sedia. Non tanto per la domanda in sé per sé, ma per l’intonazione che s’era immaginata in testa nel leggerla.

lunedì 20 giugno 2011

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A vederle da fuori le vite degli altri sembrano un po’ tutte uguali. E probabilmente anche dal di dentro. Anche se poi quelle degli altri, per qualche motivo, a pensarci bene uno poi non è che se ne capacita, sembrano migliori della propria. E a vederla davanti a quel pc si avevano proprio queste impressioni. La felpa grigia comoda, la tuta, quel mettersi in posizioni improbabili sulla sedia. A vederla così si direbbe che stia tremendamente scomoda. E invece no. Lei non sta scomoda. Anzi. I piedi che non stanno un attimo fermi, come in un balletto di un video di quel pezzo che fa: aserere a sere ne sere su ne sere tu de gebere sebinova ecc ecc. Mi pare si intitoli Ketchup song – Dio abbia in gloria google. E a vederla così è una come tante. Né bella né brutta. Né simpatica né antipatica. Né ricca né povera. Una come tanti, come tutti insomma. L’unica cosa che aveva di particolare era un occhio chiaro e uno scuro. Come i cani. Giulia non è brutta, ripeto. Una come tante, ma comunque fatta bene, il labbro superiore, forse, un po’ troppo sottile, forse. Le mani, belle. Fondamentalmente piacevole nelle conversazioni. Insoddisfatta del rapporto con il moroso. Ma allo stesso tempo coinvolta. Coinvolta a tal punto di farsi trascinare in questa cosa pazzesca. Un po’ come Alberto con Tommaso. Alberto per Tommaso si sta interessando alla vicenda Mike. E lo stesso fa Giulia con le cose di Luca. Che poi diciamoci la verità, Luca a vederlo così non sembra proprio un tipo magnetico. Sembra più un freakettone figlio di papà che si ritrova a lavorare al comune. A parte l’essere mezzo freakettone, tutto il resto non c’entra niente. Però aveva le idee ben chiare su certe cose e quando ne parla gli si illuminavano gli occhi. Erano un po’ una di quelle coppie che si vedono negli sceneggiati sugli anni settanta, sulle BR o robe del genere, dove due che stanno insieme non hanno una vera e propria relazione fatta di sesso e/o sentimenti vari, ma stanno insieme più per un’idea comune, uno scopo, una fantomatica causa. Lei all’inizio rimase affascinata dai suoi silenzi. Oggi quando ci ripensa non riesce a capire bene il perché oggi si ritrovi a essere la sua ragazza. Che poi non fanno nulla di quello che una coppia nella norma fa. Ma forse sono io, narratore onnisciente, a essere stato influenzato troppo da certe cose viste in tv. Che poi nonostante domani mattina l’aspetti la solita sveglia per andare al lavoro, resta ancora a navigare. Che poi è proprio un controsenso: navigare in rete. E sta lì, tra momenti di pausa stagnante e altri di iperattività sui tasti. Questo conoscersi senza sapere chi è l’altro, senza vedersi, senza doversi preoccupare quasi di nulla. Questo avere diverse finestre aperte sulle varie community, sui diversi forum e chat, riesce a essere un’altra se stessa in parallelo. Un po’ come in Fight Club con i gruppi di sostegno che aiutavano Edward Norton a dormire. Ogni volta che ha un interesse nuovo va in rete e cerca altri che possano esserne appassionati. Che duri a lungo o solo due giorni poco importa. Per il tempo che dura lei si quasi annienta davanti allo schermo per questa o, piuttosto, quella cosa.
Ora, per motivi che non sto qui a dire, ha preso a frequentare quei forum dove fanno domande veramente idiote. Del tipo qualcuno sa dirmi qual’è... con di seguito cose allucinanti. Il fatto di essere nella maggior parte dei casi poco attiva in questi forum è dovuto soprattutto alla propria natura di osservatrice. Lei si mette lì è acquisisce informazioni e poi elabora teorie proprie. E anche qui poi non si spiega come invece con alcuni utenti alla fine entri in un contatto. Una misantropa convinta – diciamo che poi lavorare come cassiera alla COOP non è che l’abbia aiutata molto ad avere un’idea più positiva verso il prossimo – che in certe situazioni sente un'urgenza incontrollabile di avere un contatto umano.

lunedì 13 giugno 2011

9


Quando le coperte che si hanno addosso iniziano ad attaccarsi sopra c'è poco da fare perché da custodia diventano trappola. 
Ad Alberto la luce del giorno riusciva ormai a ferirgli gli occhi. Li sentiva pesanti come i cancelli che li attendevano all'ingresso. Aveva paura che gli stesse accadendo qualcosa, problemi di salute, qualcosa di reale, di vero, perché era strano che, anche se la notte non aveva dormito, girando gli occhi, sentiva ancora dentro qualcosa simile alla sabbia, come ad avere gli occhi feriti da piccoli spilli.
Alberto si chiedeva se la stessa cosa era mai potuta accadere a Tommaso o se gli era accaduta negli ultimi tempi. Infatti avrebbe voluto rispondere alla domanda dell'amico con la sua uguale domanda: ma che hai fatto? E invece, come per tante altre cose, in quella solita pausa pranzo tra il caffè e lo zucchero, non c'era riuscito: si chiedeva le cose, le intuiva e non le esponeva: ma era chiaro che Tommaso, quel giorno, aveva una faccia troppo sciatta, troppo strana per uno che aveva sempre gli occhi straripanti e vitali, indaffarati e vigili come quelli degli animali di fronte alla presenza umana. Pronti a reagire, pronti anche a fuggire.
C'era tempo per i cancelli. Mancava ancora un isolato per raggiungere il posto di lavoro, c'era tempo: Tommaso era stato di poche parole e già questo, di per sé, era il segno di una nottataccia o di una nota cattiva nel cuore.
Alberto approfittò del tempo pigro per fumare un'altra sigaretta, in verità si vergognava di fumarne una dietro l'altra. Arrivò quasi vicino ai cancelli d'ingresso e gli venne spontaneo nasconderla con la mano: l'avesse visto Tommaso cosa avrebbe pensato di lui? Ma sapeva anche che di lì Tommaso non sarebbe mai passato.
Era stanco, semplicemente stanco. Si autogiustificava.
Sostò per un po' sulla panchina del Blasco, chiamata così perché tanto era imbrattata con i vecchi inni dei primi anni '90 (quando era colpa d'Alfredo). Fumava in piedi, con la gamba destra sopra al piano. Lì, tanto, nessuno si sedeva più da almeno dieci anni: era solo una panchina completamente arrugginita e che una volta era stata di quelle verdi, di metallo, lucide, magari utili solo d'estate perché d'inverno si rischiava di rimanere col sedere incollato per sempre, tanta era infelice la reazione del freddo gelido con la carne e con il ferro. Ed era rimasta lì, oramai fuori luogo, superstite di un piccolo e poco convincente parco giochi (lo ricordava) smantellato dopo la costruzione dei nuovi prefabbricati agli inizi del nuovo millennio. Il tabacco gli sembrava strano e le palpebre le sentiva pesantissime. Il pensiero del lavoro imminente gli gravava davvero.
La notte precedente, per molto tempo, era stato tra le lenzuola con gli occhi aperti, immobile, sopportando a fatica il suo stesso corpo tanto che aveva guardato con sgomento le prime luci dell'alba sopraggiungere, per nulla timidamente, da uno spiraglio della finestra.
Era stanco, semplicemente stanco.
Nella notte passata si era sentito come un animale in gabbia, in una recinzione senza nessun conforto. Parecchio era rimasto immobile di fronte al monitor del computer acceso sentendosi svuotato di pensieri come quando si ha un grave senso di colpa addosso. Finché gli occhi gli scesero in basso, verso le orribili mattonelle del pavimento. Erano quelle che aveva scelto sua madre per la sua cameretta quando era bambino, con strani rombi arancioni che inducevano già alla paranoia. Anche lei, in fondo, non era mai stata una persona armoniosa. Allora, dal computer, passò sul letto, nel chiarore sommerso del monitor, e quelle forme piramidali arancioni gli delinearono un pensiero: forse sua madre non l'aveva mai conosciuta veramente, forse l'aveva sempre circoscritta a quelle orribili forme delle mattonelle che aveva scelto per lui. Era stata soltanto una figura schematica e di un brutto colore.
Ora, con gli occhi che gli dolevano, si lasciò andare sulla vecchia panchina, curiosando un po' tra le scritte sbiadite: esse apparivano e avevano lo stesso tono di Domitilla11, una tale della chat. Solo un nick name con una foto, piccola, dal viso imbronciato, gli occhi un po' persi, il capo chino da un lato, con quei capelli ricci svirgolati in aria, le ginocchia scoperte dagli jeans strappati, una maglietta estiva scolorita, un ciondolo di plastica al collo. Era convinto: si trattava di una immagine degli anni '90.
Anche lei non era nulla se non Domitilla11. Si era sempre interrogato sulla sua identità soprattutto quando quei dialoghi della chat, tanto avari di parole, risultavano essere tanto sinceri, quindi reali, come sgorgati d'un getto solo. Non era nulla, eppure con lei riusciva a trovare quel legame artificiale e allo stesso tempo non artificioso e ciò accadeva proprio nei momenti peggiori: quelli della notte, quelli dei pensieri più ombrosi.
Prima di gettarsi tra le lenzuola in prossimità delle luci dell'alba, quel nick name l'aveva aiutato in modo opportuno rispettando i tempi: Domitlla11 era sempre il tempo adeguato e mai quello inopportuno. Aveva trovato, infatti, la lucina verde sullo schermo e il colore indicava la sua presenza, e quel segno, quella figura, era per Alberto come una partenza propizia. Non accadeva sempre di trovarla accesa.
Intanto, in direzione opposta della panchina, un collega barbuto che lavorava con lui salutò simpaticamente.
“Arrivo”, gli rispose Alberto.
Però era proprio la serata partita a male: non aveva trovato in rete ulteriori informazioni sulla salma di Mike. Così, Alberto, cercava giustificazione alla sua insonnia criminale; così aveva iniziato a gironzolare dentro la stanza come una trottola impazzita perché gli mancavano le notizie opportune che cercava. Sapeva che non era quello il modo di cercarle, per carità ma i pensieri gli erano cozzati a tal punto in testa, che per poco non si accese una sigaretta nella stanza di casa oltraggiando il patto preso con la madre, che gli aveva detto, non molti anni prima, che non doveva fumare, che la sigaretta non gli stava bene addosso, che non aveva il modo, insomma, basta che non fai impuzzolentire la casa, scemunito, così gli disse. Quando accadevano certe cose si sentiva come se avesse una trottola in testa, e sapeva che quella corrispondeva all'apice di quei fastidi in testa che Alberto cercava di spiegare senza successo. Tutto significava che era il momento di Domitilla11 perché lei, in quel momento, aveva la lucina verde accesa. Tutto qua. Aveva vagheggiato tutta la notte tra le coperte del letto e le tende della finestra, all'ombra di un soffitto lunare pensando al tempo, ai momenti, ai tempi delle cose e al tempo necessario. E Domitilla11 era opportunamente necessaria.
Per esempio Domitilla11 sapeva di Ellie. Quella immagine elettronica sapeva tutto di lui, era uno specchio dentro lo specchio, si incontravano quando i loro riflessi si incrociavano e rimanevano incrociati anche per ore. Invece, ad esempio, Tommaso di Ellie non sapeva proprio nulla.
Dal letto guardava la lucina verde accesa della chat con la foto minuta dai jeans strappati sulle ginocchia. In fondo anche Ellie era stata solo un nomignolo, il suo vero nome era Teresa ma per Alberto era stata Ellie, qualcosa di dolce, di leggero. Di una leggerezza, però, a forma di nuvola, leggera e che, proprio per questo motivo, riusciva a guardare le cose in verticale, con ironia e con profondità. Ma anche Ellie era stata solo un emblema, una nuvola, appunto. Non l'aveva mai conosciuta: non sapeva chi era Ellie. Forse proprio per questo motivo si era allontanato da lei, bruscamente. E altrettanto bruscamente si era reso conto che aveva passato giorni e giorni con una persona che non era mai riuscito a conoscere.
Dal letto guardava la lucina accesa della chat di Domitilla11, gli aveva detto che si chiamava Giulia. Poi un gradino più in basso si accese una seconda lucina verde: era Tommaso. Si alzò con un battito solo in direzione del monitor: ma giusto il tempo di un paio di click che quella di Tommaso subito si spense.
Dalla panchina il rombo di una macchina lo distrasse un attimo.
Forse Tommaso, la notte passata, gli aveva voluto parlare, una cosa che non era riuscito a fare nella pausa solita del caffè.
Arrivò un secondo rumore, più forte di quello della macchina.
Si stavano chiudendo i cancelli.

lunedì 6 giugno 2011

8


– Ma che hai fatto? – – nottataccia, lascia stare – – sembra come ti avessero preso a pugni – – nottataccialasciastare! – – ho capito, ma mi fai preoccupare, Maura Livoli? – – e chi è? – – Telemike 3 maggio 1990. Mike si accorse che stava leggendo qualcosa. Aveva dei foglietti e se la inchiappettò in diretta e fu squalificata – – e quindi? – – anche quando è morto Mike, lei ce l’aveva ancora con lui – – e quindi??? – – potrebbe entrarci lei qualcosa – – oddio... mi sembra improbabile – – già, anche a me. La notte non dormo. Non so più cosa fare –